IN PUNTA DI LIBRO……di Domenico Pisana. Il Caravaggio tra “buio e luce” nel romanzo “Il vendicatore oscuro” della scrittrice siracusana Annalisa Stancanelli

ANNALISA STANCANELLI FOTO

Un’ opera avvincente ed originale risulta senza dubbio il romanzo “Il vendicatore oscuro”, edito da Electa Storie Mondadori, con il quale Annalisa Stancanelli, dirigente scolastico del IV Istituto Comprensivo “G.Verga” di Siracusa nonché autrice di ricerche storiche e di saggi su Vittorini, offre ai lettori una bella pagina narrativa sul grande artista Caravaggio.
Leggendo questo romanzo, si ha l’impressione che alla base della narrazione dell’autrice vi sia il bisogno storico-artistico, più che letterario, di suscitare suggestioni in ordine alla presenza, di circa due mesi, di Michel’Angelo Merìsi, conosciuto con il nome di Caravaggio, nella città di Siracusa, ove l’artista approda nel 1608, viene trasportato a braccia, in fretta, attraverso un cunicolo scavato nella roccia fino al convento dei Cappuccini, essendo in fuga da Malta, e dove realizza quadri come il dipinto “Il seppellimento di Santa Lucia”, che Caravaggio lascia nella Chiesa di Santa Lucia alla Borgata ed oggi esposto ad Ortigia nella Chiesa di Santa Lucia alla Badia.
Questo libro piace, anzitutto, per la sua valenza di approfondimento conoscitivo; escludendo, infatti, coloro che hanno al loro attivo studi storici e biografici particolari sull’Artista, tutti noi, di Caravaggio, conosciamo quello che i testi di storia dell’arte ci hanno trasmesso, ossia informazioni che generalmente si muovono su due versanti: a)nella direzione di una critica d’arte che evidenzia la rivoluzione pittorica apportata da Caravaggio e coniata con il nome di naturalismo, un naturalismo espresso nei soggetti, che passano in primo piano rispetto agli sfondi; b)e nella focalizzazione del fatto che nella pittura caravaggesca il valore materico – percettivo della luce si fonde con quello teologico – mistico.

In questo libro della Stancanelli c’è un “quid” di novità, c’è una originalità fresca, significativa e rilevante rispetto a quanto hanno scritto diversi biografi e storici dell’arte su Caravaggio, come, ad esempio, Luca Scarlini, il quale nel libro “Il Caravaggio rubato” (Sellerio, 2012), afferma che “Gli ultimi anni di Caravaggio tra Malta,
Sicilia e Napoli, sono segnati da una febbre, un disagio, una fatica del vivere che balzano subito agli occhi e diventano sempre più evidenti”, o come Helen Langdon, tra i biografi più accreditati del Merìsi, che nel suo libro “Caravaggio-Una vita” (Sellerio, 2001), scrive: “I suoi vagabondaggi in Sicilia sono molto contraddittori, in parte viaggio trionfale d’una celebrità internazionale, ammirata e pagata profumatamente, in parte fuga angosciata d’un evaso che si aspettava da un momento all’altro la cattura o magari la morte e dormiva con la spada al fianco; – inoltre, temuto per il suo comportamento, veniva regolarmente decritto come un folle, cosa che ai tempi di Roma non era mai successa”.
Nel suo romanzo la Stancanelli al dato strettamente biografico fa prevalere qualcosa di più, atteso che il suo interesse si rivolge verso il documento romanzandolo; l’autrice, in pratica, va oltre l’ uomo Caravaggio dall’ animo particolarmente irrequieto, che nella sua breve esistenza affronta gravi vicissitudini e che il 28 maggio 1606, responsabile di un omicidio durante una rissa e condannato a morte, è costretto sempre a fuggire per scampare alla pena capitale.
L’editore che ha pubblicato il romanzo ha dato ad esso una collocazione di genere narrativo, ossia il noir, (noir, in francese, letteralmente significa “nero”), noir perché la narrazione si colloca dentro un’ ambientazione di luoghi e fatti tenebrosi, oscuri, angoscianti e a tinte fosche.
E difatti nell’articolazione narrativa del romanzo troviamo scenari di morte, incubi, ritrovamenti di cadaveri, come “il cuoco del convento ritrovato morto in una porcilaia, coperto di fango e di letame”, che spinge Caravaggio, contro il volere di frate Anselmo, ad uscire dalla celletta per recarsi nella porcilaia perché “Ripeteva, quasi fuori di sé, che era suo diritto vedere la morte perché la morte era nella vita e lui, pittore, doveva rappresentarla in ogni sua manifestazione”.
Ed ancora: l’assassinio di Frate Anselmo e frate Antonio; la scena di Amira che “giaceva sul pavimento con la schiena appoggiata al muro. Sangue sul viso, sulla veste chiara e per terra”; la scena di “un sacco che si muove, da cui provengono deboli lamenti”, e quella dell’ultimo capitolo del romanzo : “La vittima pendeva da un albero all’ingresso della grotta. Caravaggio giaceva sotto, con le mani sporche di sangue e terriccio, ancora vivo e incosciente. La sagoma di Giovannello, morto, si intravedeva all’ingresso della grotta. Il vendicatore oscuro pregustava il trionfo dei suoi piani”.
Ed in questo quadro oscuro anche l’epilogo del romanzo è agghiacciante: “Michel’Angelo – scrive l’autrice – si trovava a Napoli. Aveva dipinto quadri per alcuni nobili della città. Aveva inviato grandi opere destinate al papa a Roma. Dovevano servire e sostenere le sue richieste per la grazia che non arrivava(…) Uscì dalla taverna , scese il gradino e alzò un attimo il viso per guardare la luna. Era piena, quella sera. Poi la sua vista venne oscurata. Quattro uomini lo circondarono. Due gli tennero ferme le braccia e uno gli sfilò la spada dal fodero. L’altro gli mostro la sua spada, gliela mise davanti agli occhi e gli disse: ‘Con gli omaggi del nobile Roderic d’Orsy’. Il sicario si allontanò di un passo, alzò il ferro e lo sfregiò. Quindi lo trapassò con la spada”.
Ecco, dentro questo scenario noir la Stancanelli mette in risalto un nucleo di sentimenti e pulsioni con un’ analisi della psiche umana del Caravaggio e dei personaggi con i quali interagisce, con una narrazione che si modula con una visione olistica , nel senso che l’autrice riesce a fare incrociare letteratura, psicologia, ricerca storica e arte pittorica.
In questo romanzo troviamo certamente una simbiosi tra luce e buio che si compenetrano anche fisicamente; la luce e il buio che richiamano sicuramente una riflessione teologica come fondamento religioso della vicenda di Caravaggio a Siracusa.
Il romanzo sembra voler rimarcare che il contrasto tra “ Luce” e “Buio” al centro della narrazione , rispecchia il contrasto tra luce e buio presente nella vita del pittore; lì dove infatti Caravaggio viene ospitato succedono delle morti molto strane; morti che sembrano quasi delle pièce teatrali e che fanno sorgere la domanda su chi possa essere questo vendicatore oscuro. Merìsi , in ogni caso, nella sua indagine sui vari omicidi avverte interiormente che l’obiettivo finale è proprio lui: da qui il senso di buio che lo assale e che lo opprime; e buio nel romanzo è un piccolo cagnolino in quanto nelle biografie dell’epoca si racconta che Merìsi trovò un piccolo cagnolino da strada e lo adottò.
L’ aspetto primaziale di questo romanzo sta nel fatto di aver operato una rielaborazione storico-letteraria sulla presenza del Caravaggio a Siracusa poggiando la narrazione sulla ricostruzione storica di Vincenzo Mirabella, il quale in una sua opera del 1613 racconta di aver accompagnato il Caravaggio nella celebre zona del Teatro Greco. Mirabella, che morì a Modica nel 1624 stroncato, a soli 54 anni, dalla peste che quell’anno falcidiò la Sicilia sud-orientale,
fu uno dei maggiori esponenti della cultura umanistica siciliana, fu una personalità poliedrica: matematico, storico, archeologo, architetto, poeta, compositore, musicista, oltre che un appassionato collezionista di reperti archeologici e di monete antiche.
Nel suo romanzo la Stancanelli punta lo sguardo, fra l’altro, sul dipinto “Il seppellimento di Santa Lucia” del Caravaggio, per poi allargare l’orizzonte sulla vita del pittore, descritto come personaggio geniale, con una grande cultura musicale, che vive le sue frequentazioni con uomini di scienza e intellettuali del suo tempo e che si intrattiene in dotte conversazioni .
L’Autrice, insomma, ci racconta un Caravaggio come la sua fantasia lo immagina; non solo, però, il personaggio geniale e irrequieto, ma anche l’uomo normale che sorbisce bevande, mangia biscotti come la “mandorla pizzuta di Avola in cima al pasticcino bianco”, e che gusta anche la bevanda degli dei, il cioccolato:
“…La ragazza – si legge nel romanzo – come sempre, si avvicinò al maestro con fare servizievole, indicandogli con un cenno le delizie che aveva già messo su un piccolo tavolino accanto: paste di mandorla, dolcetti con ricotta e una brocca di cioccolato. Anche quella bevanda degli dei, così profumata e densa, proveniva dai terreni di Mirabella, da Modica, dove il nobile gli aveva detto che lavoravano il cacao come gli antichi Aztechi. Michel’Angelo, sebbene il profumo invitante del cioccolato lo invitasse ad una pausa, come suo solito, non volendo essere disturbato mentre lavorava al dipinto, rispose con un grugnito e un cenno di assenso, ma non si distolse dal suo lavoro”.

Molto bella e accattivante risulta anche la narrazione della Stancanelli quando descrive l’incontro del Mirabella con Caravaggio:
“…L’incontro con il pittore era ormai imminente e Mirabella era pieno di aspettative. Si lisciò compiaciuto i baffetti, poi si girò verso il servo Karim. ‘Hai ricordato quanto serve per il rinfresco?’, gli chiese… Per l’incontro con il celebre artista voleva essere perfetto. Era stato il superiore del convento dei cappuccini, frate Raffaele da Malta, a rivelargli in confidenza la presenza del pittore(…) Mirabella uscì da un ingresso laterale della chiesa seguendo il frate e trovò il pittore seduto su un muricciolo di pietra all’interno del cortile. Suonava un motivetto allegro con un piccolo violino davanti ad alcuni bambini del quartiere(…) ‘Sono onorato di fare la vostra conoscenza, maestro. Ho sentito parlare di lei e dei suoi capolavori’, diceva con sussiego Mirabella mentre Michel’Angelo si alzava in piedi. ‘Siete voi che mi onorate con la vostra visita’, rispose Michel’Angelo mentre il servo scuro si allontanava verso l’interno della chiesa dove, poco prima, era sparito il frate guardiano”.

In questo romanzo “Luce” e una protagonista rilevante. E’ davvero affabulante il capitolo del romanzo in cui la Stancanelli descrive la relazionalità del Caravaggio con Luce, la ragazza che posa per lui facendolo fremere d’amore. Anzitutto vediamo che la narrazione si concentra sulla serva Amira che cercava in ogni occasione di stare accanto a lui sfiorandolo quando lo serviva, e anche se non aveva il permesso di rivolgergli la parola, i suoi sguardi ammiccanti erano evidenti; poi la narrazione si sposta sulla raffigurazione di santa Lucia che Caravaggio cerca di rendere reale proprio mentre si rivolge al nobile Mirabella, affermando :

“L’aderenza al vero mi impone di far risaltare la decollazione della santa. E così Michel’Angelo prendendo in mano la tavolozza con alcuni colpi veloci di pennello colmò la distanza tra il busto e la testa, mentre Luce tenendo gli occhi bassi stava seduta accanto al Mirabella, quando ad un tratto Amira rovescia una colata di cioccolata bollente sulle gambe di Luce provocando la reazione del pittore che le dà un ceffone in pieno viso cercando dopo si seguirla”.

Questo libro si configura, dunque, come interessante approdo di ricerche sulla presenza di Michel’Angelo Merìsi a Siracusa, effettuate con cura dall’autrice, la quale immaginando come poteva essere la Siracusa del 1608, città poi cambiata dal terribile terremoto di fine secolo, si cimenta in una narrazione che ricrea usi, costumi, gastronomia dando vita ad un romanzo che si muove tra realtà e creatività, tra storia e fantasia letteraria.
L’autrice incurva la sua libertà e immaginazione narrativa dentro un contesto storico ben preciso e, così, utilizzando dati storici, interpretazioni di studiosi e ricerche personali costruisce una narrazione che cerca di immaginare e mettere insieme le possibili frequentazioni del pittore in condizione di fuggiasco, nonché i luoghi in cui si sposta e le sue escursioni in alcuni siti suggestivi come le Latomie dei Cappuccini di Siracusa, le Catacombe di San Giovanni, le grotte sotterranee dell’antica Chiesa di Santa Maria del Gesù e l’isola “magica” di Ortigia con le sue splendide Chiese e scorci meravigliosi.
Il volume della Stancanelli si muove in sostanza tra storia e letteratura, ma l’intento dell’autrice , a mio avviso, è più storico che letterario. Certo è, in ogni caso, che non esiste testo (quindi non esiste fonte) che non sia un composto di almeno tre elementi essenziali in sinergia tra loro: l’osservazione documentaria, l’invenzione narrativa e le tecniche della narrazione. Tutti e tre questi elementi sono certamente presenti in questo romanzo.
Quella che Annalisa Stancanelli ci offre è, direi, una storia nella storia e il rapporto fra storia e invenzione letteraria è senza dubbio un motivo centrale di questo libro. La Stancanelli “racconta e si racconta” tra verità e finzione intesa come costruzione della mente, tra la verità degli eventi storici e la finzione della scrittura narrativa, che è propria, ma non solo, della letteratura.
Non c’è dubbio infatti che la storia si compone della stessa materia della letteratura: essa è fatta di parole, è propriamente un discorso, una narrazione in prosa. Nel momento in cui il ricercatore, in questo caso la Stancanelli, interpreta e rielabora i risultati delle sue ricerche in funzione di un’esposizione che sia utile alla conoscenza per altri, la storia si presenta, in questo caso, come un racconto. Quando si raccontano avvenimenti veri che hanno gli uomini per attori, la storia diventa un romanzo vero; la letteratura tende a esprimere l’universale, la storia il particolare.
Se è vero, come è vero, che la Stancanelli appare dotata di un efficace estro narratologico , è altresì vero che la letteratura in questo romanzo a volte cede il passo al documento cronachistico assumendo le connotazioni della riflessione storico-saggistica e mettendo in secondo piano ciò che in un romanzo ha invece una marcata decifrazione stilistica, ossia i dialoghi, i personaggi, l’intreccio e il ritmo di narrazione. Probabilmente l’intento maggiore della Stancanelli, come già detto, risulta quello di raccontare le sue ricerche e le sue scoperte in modo agile, semplice ma approfondito, facendo parlare i suoi protagonisti: Michel’Angelo , la protagonista del dipinto e ancora la famiglia di Vincenzo Mirabella ed altri ancora.
Certo va anche detto che la Stancanelli ha sfidato se stessa, perché scrivere un romanzo su Caravaggio, che è un artista complesso, affascinante, intrigante, non era un’ impresa facile. Ma è stata una impresa che alla fine l’autrice credo abbia vinto, perché tutta la struttura teleologica dell’opera converge in quel messaggio finale che Annalisa Stancanelli lancia ai suoi lettori: “Amor vincit omnia”, l’amore vince tutto: lo stesso amore che Michel’Angelo Merìsi dichiara a Luce, la quale, svegliandosi con una sensazione di abbandono, trova un involto sul suo giaciglio: “Lo apre sciogliendo il cordino che lo avvolgeva e ne cadde una pergamena: ‘addio, senza di me sarai al sicuro. Sei stata e sarai la luce della mia vita. O almeno di quella che mi rimane. Michel’Angelo’. Nel pacco vi erano anche due lettere e un disegno a carboncino. Era lei, ritratta nel chiostro del convento mentre leggeva un libro”.
Annalisa Stancanelli, per concludere, muove la sua scrittura partendo da dati concreti e da eventi storici ben precisi, dando vita così ad un romanzo che non si connota come una mera esercitazione letteraria, ma come “prosa realistica” che attesta quanto l’autrice sia una donna cui piace “stare in mezzo alle cose che succedono” per usare una espressione di Calvino, cui piace ricercare, analizzare per dare alla sua scrittura una funzione comunicativa.
Annalisa Stancanelli coinvolge il lettore perché racconta vita ed arte del Caravaggio, la pittura e la committenza, il tutto nell’affascinante cornice della Sicilia secentesca, dandoci particolari suggestivi e tratteggiando la figura del grande pittore che appare consapevole di aver chiesto la guarigione a Santa Lucia, la grazia di poter salvare la vista per poter continuare a dipingere, ma non sa se quella figura femminile dai lunghi capelli neri e dalle mani gentili che lo hanno toccato con delicatezza sia stata un sogno.
Questo romanzo piace ed appassiona perché ci dà tutta la modernità di Caravaggio, l’uomo che si dibatte tra luce e tenebra, che si mostra rude ed aggressivo perché è un anticonformista ed una anticonvenzionale, un uomo di forte realismo che rifiuta anche delle committenze perché vuole rappresentare le cose come lui le vuole, mostrando così coraggioso. Dunque un Caravaggio geniale e coraggioso che grazie alla capacità narrativa dell’autrice si offre al lettore nella sua dimensione umana, pittorica e sentimentale, emozionandolo fino ad aprirgli non solo la mente ma anche il cuore.

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