IN PUNTA DI LIBRO…di Domenico Pisana. “Vuoti d’aria”, il romanzo di Michele Giardina tra autobiografia e impegno civile

domenico pisana

Il romanzo “Vuoti d’aria” , pubblicato dalla casa editrice Prova d’Autore di Catania, è del giornalista-scrittore di Pozzallo Michele Giardina, già autore nel 2004 del volume “Cronache e riflessioni di un giornalista di provincia”, cui sono seguiti i romanzi “La risacca” (2009), “Mare forza 7” (2010) e “L’uomo  di borgata” (2011). E’ un romanzo dove si coglie con immediata chiarezza una forte osmosi tra giornalismo e letteratura, che si influenzano reciprocamente e positivamente.

“Vuoti d’aria” si colloca nell’ambito del reportage letterario, che affondando le proprie radici nel New Journalism americano permette di descrivere avvenimenti e persone attraverso le forme e lo stile di quella che noi chiamiamo narrativa, e gli anglosassoni chiamano fiction.
D’altra parte la letteratura ai giorni nostri si appropria costantemente del linguaggio del reportage. Si pensi anche solo a quanti reporters si sono convertiti in protagonisti di romanzi, e quanti passaggi e quanti dialoghi, consacrati come classici, sono stati scritti con lo stile del reportage.
Cito per tutti il “caso Saviano” con il suo primo romanzo “Gomorra”. Roberto Saviano, giornalista e scrittore napoletano, ha raccontato il fenomeno camorristico attraverso reportage e racconti pubblicati in collaborazione con diversi giornali e riviste, tra cui «L’espresso» e «la Repubblica».
libroIl confine tra romanzo e reportage all’interno del libro di Saviano è molto sottile e l’autore gioca su forti impatti emotivi che non fanno leva sul linguaggio, che al contrario presenta caratteristiche tipicamente giornalistiche, ma sulle immagini. La particolarità sta nel fatto che Saviano, sia nella narrazione che nella dimensione extraletteraria, interpreta il ruolo dell’eroe in lotta con la camorra, acquisendo così ulteriore legittimazione e credibilità.
Ma andiamo a Michele Giardina. Questi è un giornalista di provincia di lunga esperienza sociale, culturale e narrativa, che ricorre sapientemente all’ intreccio tra romanzo e reportage dando vita ad una opera letteraria poggiata su una serie di narrazioni indipendenti che presentano un ritmo affabulatorio per molti aspetti simile all’oralità, in quanto la sua scrittura è pervasa di tracce d’immediatezza nonché da una forte carica espressiva, che, attraverso un periodare agile, riesce a dare l’idea della velocità.
Michele Giardina è quel Tony Speranza del romanzo che vive a “Perla di mare” (la sua Pozzallo), “che odora di sale e di mare. Di cui conosce pietre, strade, quartieri, luoghi. Rubini di memoria , rilucenti di personaggi, piccoli, grandi, semplici, passionali, naif. Che ha conosciuto. Che conosce. Attori, dell’umana vicenda”.
Da questa “fetta di terra mediterranea”, Tony “sente il bisogno di volare alto”, grazie allo straordinario aiuto del cielo e del mare”, e così Tony narra e si narra, basandosi su episodi reali a cui egli stesso ha preso parte o che gli sono stati raccontati. Ecco allora che nel romanzo di Giardina troviamo personaggi come Memo Nocera, “allammicatu ri fimmini”; troviamo i migranti con il centro di accoglienza; ci sono i matrimoni portati, c’è il mito della famiglia, il dolore, la malattia, ci sono i dialoghi con il padre, con Sal Giunta, pozzallese che ha combattuto nel Vietnam; c’è il caso del giovane Luca morto di overdose, ci sono storie di emigranti, tra cui quella di Giovanni Carandola, del quale l’autore descrive la parabola ascendente e discendente, fino al racconto della morte.
Per narrare tutto questo Michele Giardina guarda, da un lato, alle tecniche del giornalismo, dall’altro alla letteratura e al suo impianto narrativo, oltre che ai procedimenti analitico-descrittivi tipici della scrittura saggistica.
Si legga, ad esempio, la narrazione delle pagg. 45-51, dove c’è la descrizione della città Perla di mare, che si è ritrovata sotto i riflettori della grande comunicazione mediatica per via della sua accoglienza dei migranti.
Ovviamente l’autore non si limita a raccogliere fatti e testimonianze su “Perla di mare” o a focalizzare un evento per creare un’occasione narrativa; egli fa un lavoro più complesso, che ha alla base una solida struttura letteraria; egli, insomma, “ri-crea” una trama che riesce a maneggiare il materiale raccolto, inglobandolo in una narrazione dove luoghi, immagini, personaggi e fatti si integrano nell’unità di un percorso letterario di efficace valore semantico.
L’autore , poi, sfronda le parti più accessorie e legate al particolare, all’hic et nunc, per lasciare spazio agli avvenimenti che, anche a distanza di tempo, continueranno ad avere valore storico-letterario e a interessare il lettore.
La caratteristica del romanzo “Vuoti d’aria” sta proprio nella capacità di Giardina di impiegare linguaggi diversi intrecciando scrittura giornalistica e creatività letteraria, pur mantenendo le rispettive differenze; il libro si fa infatti leggere volentieri perché utilizza le contaminazioni possibili tra divulgazione, intrattenimento letterario e informazione. Modellando assieme questi strumenti e unendo la riflessione alla descrizione, Michele Giardina supera il rischio di produrre documenti che, una volta finita l’attualità, potrebbero divenire anacronistici e non interessare il lettore.
Al contrario, l’autore dà un respiro universale ai suoi contenuti, usando uno stile che trasforma il documento in contenuto letterario ed un linguaggio scorrevole ed immediato, quasi parlato e investito dell’impronta romanzesca: frasi brevi, dirette, realistiche. Certamente, i contenuti, quelli di fondo, rimandano a fatti realmente accaduti e vissuti, ma tutto è ricondotto alla prospettiva individuale del narratore-autore.
L’io narrante diventa protagonista letterario e i testi trasudano dell’esperienza personale dell’autore messa al servizio della scrittura: a questo modo di narrare vanno ricondotte infatti le parti di questo romanzo, nelle quali Giardina parla dei suoi ricordi, del suo modo di leggere la realtà, delle sue denunce, dell’ipocrisia sociale, spinto da un forte pathos interiore e da un “quid di ispirazione letteraria” che muove tutta la sua narrazione.
“Vuoti d’aria”, dunque, merita di avere il suo spazio dentro l’orizzonte della narrativa non solo a livello locale, perché la scrittura di Michele Giardina spezza il “genere convenzionale” del narrare per dare voce a realtà che di solito rimangono nella penombra e nel silenzio; sussurra verità e, soprattutto, guarda con realismo la società nel suo micro e macrocosmo.
Molta importanza assume, infine, in questo libro la lingua, la scelta delle parole e l’abilità di Giardina nel lavorare sulla frase, sul paragrafo e poi sul capitolo, nel riuscire a essere semplice ed efficace, nel dire il più possibile con la minima quantità di parole e di immagini.
Una cosa è certa. “Vuoti d’aria” è un romanzo che descrive, indaga, racconta, contiene dati e denunce, spunti mordaci e punzecchianti e riflessioni teoriche. Ciò che viene narrato dall’Autore può essere discusso, confrontato con la realtà, fino ad aprire spazi di dialettica critica e a porre domande di senso sul valore della letteratura come ermeneutica della vita.

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