Si infiamma in Sicilia la campagna per il referendum

Palermo. L’Unione illustra le ragioni del «no» al referendum per la devolution. Micciché, leader di Fi, quelle del «sì». Violante (Ds), presidente della commissione Affari costitu­zionali della Camera: «Non diciamo che è una riforma sbagliata solo perché è del cen­trodestra. Non c’è esponente della Cdl che non dica che non vada corretta. Per questo, noi sosteniamo che sia necessario votare "no" e poi ripensare la riforma. In caso di vit­toria dei "sì", invece, sedersi attorno a un ta­volo non sarebbe più possibile».
Per il segretario regionale dei Ds, Capodi-casa, «il no in Sicilia ha ragioni in più rispet­to al resto del Paese. Nell’Isola avremmo so­lo danni materiali». Danni che Piro (Mar­gherita) quantifica in circa sette miliardi di uscite in più per la Regione, di cui quattro miliardi per nuove spese d’istruzione, due per la Sanità, uno per le pensioni d’invalidità: «Ne deriverebbe un taglio delle prestazioni pubbliche per i cittadini o un aumento degli oneri per le famiglie».
Secondo Micciché, «oltre a dare i numeri, la sinistra spieghi almeno dove li prende. Tuttavia, se sapessero veramente fare di con­to, oggi avrebbero detto la verità ai siciliani, comunicando quanto il governo Prodi, di­chiaratamente anti-siciliano, ha intenzione di sottrarre alle casse della Sicilia. Altro che sette miliardi di euro di oneri, la riforma co­stituzionale approvata dalla Cdl non produrrà alcun effetto negativo per la Sicilia, pone solamente rimedio alle assurdità nei rapporti Stato-Regioni derivanti dall’affretta­ta riforma del titolo V voluta nel ’01 dall’at­tuale maggioranza per puri scopi elettorali».
E mentre si svolge la campagna referenda­ria, il presidente della Regione, Cuffaro, è impegnato a far quadrare il cerchio che non riguarda solo le cariche di governo, ma anche quelle della gestione dell’Ars. Entrambe camminano di pari passo: prima di arrivare al voto per il consiglio di presidenza dell’As­semblea si dovrà definire l’assetto di gover­no. Anche per evitare sorprese. Infatti, per il presidente dell’Ars e per le altre cariche par­lamentari si vota a scrutinio segreto. La pri­ma mossa in assoluto riguarda appunto la presidenza dell’Ars: Micciché o Lo Porto? Antìnoro (Udc), il più votato in Sicilia, che per un suo eventuale ingresso in Giunta si rimet­te al governatore, mentre per la presidenza dell’Ars sostiene: «Non sono io a dovere de­cidere e mi guardo bene dal fare i nomi, ma anche se per poco Fi si è confermato primo partito, non vuol dire che la presidenza del­l’Ars venga assegnata a un suo rappresentan­te». Per il deputato Udc, «sarà sempre il pre­sidente a decidere».

Tumino sottolinea che sarebbe il momen­to per fare qualche scelta di rigore: «Tra le fi­gure previste per la gestione dell’Ars c’è quella dei deputati segretari. Figura inutile: nella passata legislatura ne sono stati nomi­nati ben dodici; a ognuno è stata assegnata un’auto di rappresentanza con autista e in­dennità aggiuntiva. Sarebbe opportuno non nominarne alcuno o solo tre, secondo tradi­zione». Intanto, cinque consiglieri provin­ciali di Palermo hanno aderito al Mpa di Lombardo e faranno gruppo a palazzo Comitini. I cinque sono Brigano (An), Caradonna (Gruppo misto Pri), Muscarella (Gruppo mi­sto indipendente), Saglibene (Nuovo Psi) e Susinno (Nuova Sicilia).

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