Dall’Armenia a Modica per curarsi, la storia di un giovane tra sofferenza e accoglienza

Padre Nostro

«Grazie per tutto quello che fate per me. Per voi non posso fare nulla, non ho come ripagarvi: posso solo pregare il Signore perché perdoni i vostri peccati». Don Giorgio Cicciarella, cappellano dell’ospedale ‘Maggiore’ di Modica, ha voluto condividere questa ‘preghiera di benedizione’ che lo ha interrogato in prima persona, facendogli sperimentare tutta la forza del donarsi agli altri. A pronunciarla è stato uno dei malati a cui quotidianamente sta vicino. «È un giovane dell’Armenia, ha 34 anni.

Sta molto male. Nel suo Paese non poteva curarsi, è andato in Germania, poi lo hanno portato qui. Da tempo è in dialisi, ora ha subìto tre delicati interventi, sta davvero molto male. Noi gli stiamo accanto, e stiamo anche espletando tutte le pratiche burocratiche per permettere al fratello di raggiungerlo. Vuole accanto una persona della sua famiglia, e noi ci stiamo impegnando anche per questo. Il suo grazie, la sua preghiera, li sento come qualcosa di straordinario». Don Giorgio ha voluto condividere questa storia con le tante persone che hanno preso parte, ieri sera, alla messa per la città diventata un appuntamento mensile prezioso, che esprime la dimensione comunitaria del celebrare la fede vissuta nella quotidianità. «Don Giorgio – ha detto Maurilio Assenza, direttore della Caritas diocesana di Noto, prima dell’inizio della funzione – mi ha spiegato che ai malati è stato comunicato che noi saremmo stati qui per pregare per loro. Sono invisibili spesso agli occhi di molti, ma non lo sono agli occhi di Dio». «Gli ammalati – ha detto poi don Giorgio, che ha concelebrato insieme ad altri quattro sacerdoti – purtroppo non possono venire qui. Pochi di loro possono lasciare di solito il reparto. Ma sanno che alle 18 celebravamo la messa e mi hanno detto che si univano spiritualmente a noi. Siamo qui per pregare per loro innanzitutto, ma anche per noi». Il sacerdote ha ricordato come la cappella dell’Ospedale sia «un crocevia di storie, di situazioni difficili. È il luogo dove tanta gente entra per chiedere la guarigione per sé e per i propri cari, guarigione del corpo e dello spirito. Ecco perché questo rappresenta un momento forte di Chiesa: pregare con coloro che sono più vicini a Cristo nella sofferenza». Poi un monito: «Spesso nella malattia si sperimenta l’abbandono. Girando nei reparti vedo volti che cambiano continuamente. Tante volte gli ammalati mi dicono: mi hanno abbandonato, non mi cerca più nessuno. Questa preghiera serva a darci consapevolezza che quando ci avviciniamo a un fratello che sta male noi tocchiamo le carni sofferenti di Cristo, come ci ricorda il Papa. Chi può, dopo l’eucaristia, vada nei reparti. Così il Corpo di cui ci nutriamo lo portiamo agli altri». Prima della benedizione finale, il momento di adorazione eucaristica con le intenzioni di preghiera e la presentazione di alcuni segni. Una breve preghiera intervallata dal canto della corale polifonica giovanile «Sacro Cuore». Gli operatori sanitari, che hanno deposto ai piedi dell’altare un fonendoscopio, poi i ministri della comunione, che hanno portato il pane. Un vangelo e una copia della carta dei servizi del Comune sono stati portati da una giovane disabile: un segno perché ci si ricordi sempre della necessità di «rifondare le città dell’uomo». E ancora un pensiero per gli anziani, che hanno ‘offerto’ una corona del rosario, quella ‘dolce’ preghiera che accompagna i giorni specialmente di chi soffre ed è solo.

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