A PROPOSITO DELLO SCOGLIMENTO DEL CONSIGLIO COMUNALE DI SCICLI (ovvero: a chi può essere contestato il reato di concorso esterno in associazione mafiosa)

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Fonti riservatissime ci fanno sapere (si tratta, come si dice, di notizie dell’ultim’ora) che parecchie città soggette a infiltrazioni mafiose (vale a dire, se non altro sommando il vero col presunto, la quasi totalità delle città italiane), dopo avere appresa la notizia dell’avvenuto scioglimento del consiglio comunale di Scicli, hanno vivacemente protestato, lamentando che, come al solito, lo Stato aveva privilegiato le località che, come Scicli,

potevano vantare collaudate conoscenze in alto loco. Tutti, infatti, sanno che gli sciclitani sono di casa al Paradiso, potendo giovarsi dell’amicizia con la Madonna che, già una volta, li ha salvati dall’invasione dei turchi. Nei numerosi cortei di protesta si è fatto giustamente notare che tutto ciò danneggiava città che, come Roma, pur subendo i notori pesantissimi condizionamenti mafiosi, non sono ancora riusciti ad ottenere l’agognato decreto che, come per incanto, farebbe scomparire d’un colpo mafia e mafiosi,‘ndrangheta, ’ndrine e ‘ndranghetisti.
Nel frattempo, per la deplorevole totale mancanza di raccomandazioni, importanti città come Roma dovranno subire l’inerzia dello Stato e l’arrogante strafottenza di amministratori corrotti che continuavano imperterriti a rimanere in carica e a fare i loro loschi affari.
Ma, si sa, così va il mondo!
Fatto sta, comunque, che Scicli, quale “città ad alta intensità mafiosa” (la definizione, è dell’assessore regionale all’energia Calleri, il quale, occupandosi, per l’appunto, di energia, misura la mafiosità in kilowattore – ma, forse, a pensarci bene, voleva dire “densità …) ha avuto quel che si meritava, vale a dire il decreto di scioglimento del Consiglio comunale previsto dall’art. 15 bis della L55/90, reclamato a gran voce dagli esperti di ruolo dell’antimafia e sedicenti tali.
Questi ultimi, in particolare, hanno fatto il diavolo a quattro per indurre gli organi dello Stato a emettere il fatidico diktat che assegna il marchio doc della mafiosità. Il crucifige, com’era prevedibile, è stato accolto. Oggi, dunque Scicli ha il triste privilegio di far da location alle usuali esibizioni dell’antimafia parolaia. Deus vult, proclamava la buon’anima di Pietro l’Eremita, che Dio l’abbia in gloria. In questo caso la divinità alla quale non si poteva dir di no è la sacra retorica e la retorica ha ragioni che la ragione non conosce, diceva Pascal a proposito della fede (mi affretto a rassicurare il mio amico Michele che questa è l’ultima citazione che troverà in quest’articolo).
Nel nostro caso, dunque, la fede incondizionata nella retorica e nelle leggi che ne regolano il culto ha fatto premio sulla ragione. Ben le sta (alla ragione, intendo),così l’altezzosa ragione impara che ciò che conta, oggi, non è decidere per il bene comune, affannandosi a cercare i non semplici e, spesso, perigliosi rimedi contro l’umana dissennatezza, ma adeguarsi a quest’ultima per carpirne i favori e vivere spensieratamente nel paese dei balocchi.
Val la pena, tuttavia, riassumere per sommi capi, quel che sosteneva la ragione, sia in via generale, che in punto di fatto
In via generale, sottoponendo a esame critico la legge 55/90, qualcuno osservava che questa, proponendosi di contrastare il fenomeno mafioso con maggiore efficacia di quanto non fosse stato fatto in precedenza, aveva, tra l’altro, previsto lo scioglimento dei consigli comunali e cioè, di organi collegiali democraticamente eletti, in varie ipotesi, sostanzialmente coincidenti con l’impossibilità di detti organi di funzionare (così, segnatamente, l’art. 39 della legge 8.6.1990, n.142). Senonchè, si dimenticò di prevedere, tra le ipotersi di mancato o distorto funzionamento, quella dovuta alla mafia .Il legislatore italico, si sa, è tra i più esperti e preparati al mondo e non si ferma per così poco. Detto fatto, con decretazione d’urgenza, (D.L. n°164 in data 31.5.1991, convertito con modifiche in legge n°221 del 22.7.1191), operò una radicale integrazione alla legge 55/90, introducendo l’art. 15 bis che prevedeva, per l’appunto, la possibilità di sciogliere gli organi ordinari degli Enti locali, nel caso di accertato condizionamento conseguente a fenomeni di infiltrazione mafiosa. Dopodiché si affrettò a tornare ai suoi abituali giochi di potere che tutti conosciamo. Ci fu chi, allora, fece notare che la normativa in questione si poneva alla stregua di inammissibile deroga ai principi di democrazia applicati nel particolare ambito delle autonomie locali, ma venne subito zittito e accusato di cercare il pelo nell’uovo per favorire la mafia. In ogni caso, gli fu spiegato che, trattandosi di contrasto tra principi costituzionali ugualmente protetti, doveva concedersi la prevalenza a quella che garantiva la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica.
Ci si dimenticò, tuttavia, nella fretta di liquidare il molesto quesito, che, a differenza delle altre ipotesi in precedenza normate, in questo caso l’inghippo del mancato, o, peggio, del distorto funzionamento della macchina statale era dovuto, non già all’italico pressappochismo, o all’ incapacità di funzionari non funzionanti, o, infine, a eventi non attribuibili alla volontà dell’uomo, ma a quella cosa terribile, a quel mostro proteiforme chiamato mafia, la cui caratteristica è per l’appunto, non solo quella di delinquere, ma anche quella di agire per vie sotterranee.
Ne deriva che la cancellazione dell’organismo statale sul quale la mafia aveva messo le mani, non le fa né caldo né freddo, dal momento che, dovendo essere necessariamente rinnovato col sistema elettivo, invece di danneggiare l’organizzazione criminale, la favorisce, consentendole di fare eleggere le persone a lei gradite, per di più in numero maggiore di quelli fatti eleggere in precedenza.
Non mi pare che l’obiezione sia contestabile. Sul piano dei principi e su quello della ragione, si capisce.
Un’ultima notazione. Si potrà discutere quanto si vuole circa la correttezza, sul piano giuridico, del cosiddetto concorso esterno in associazione mafiosa e, probabilmente, ritornerò sull’argomento, ma una cosa è certa: l’ipotesi tipica di un reato siffatto, è costituita, per l’appunto, dall’iniziativa dei legiferanti che hanno concepito un mostro giuridico capace di conseguire risultati esattamente opposti a quelli per cui la legge è stata emanata.
Se tanto mi dà tanto, forse è il caso di cominciare a pensare a sciogliere il Parlamento.

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