Recensione in occasione dell’esposizione del maestro Piero Guccione “Un pittore dell’occhio, un pittore del visibile”. Galleria Dir ’Arte, Modica

“Oggi ho visto il mare”, si ripeteva, “ho visto il mare da una mia terra;
e tutta questa bellezza dovrebbe consolarmi, e invece mi sgomenta.”
(Maurizio Maggiani, Il coraggio del Pettirosso, 1995)

L’arte non ha bisogno di lustrini e di sfarzi. All’insegna della sobrietà e dell’eleganza, giorno 25 Giugno presso la galleria Dir ‘ Arte in Modica, per volontà e grazie all’impegno di Francesco di Rosolini, ha preso avvio la mostra dedicata ad alcune fra le più recenti e più preziose opere del maestro Piero Guccione, alfiere per eccellenza della scuola pittorica sciclitana e suo più rinomato ambasciatore nel mondo. L’esposizione, dal titolo “Un pittore dell’occhio, un pittore del visibile”offre al visitatore incantati scenari del mare nostrano che costituisce, come ormai noto, l’elemento tipico dell’arte di Guccione e sul quale questi ha fondato l’intera sua carriera. Circa 20 opere, disposte in maniera circolare, ad abbracciare gli occhi immersi in una successione di oli e pastelli di mare.
Il mare visto da Guccione, “sentito” da Guccione: apripista di questa rassegna per estasi sognanti è un olio su tela del 2008 dal titolo Spiaggia di punto Corvo. Deliziosa spiaggia solitaria, raffigurata con toni pacifici e colloquiali, il dipinto sembra quasi giocare con gli occhi del visitatore invitandolo ad insistere sulle dolci note delle sue vellutate pieghe di colore. Colori pacati semi addormentati, innocenti come bambine con le trecce bionde, l’opera è un messaggio di serenità che richiama l’infanzia, è una cartolina dal mondo dei sogni, è un atto di pace e benevolenza che si è fatto colore per le nostri iridi.
Segue ancora un olio su tela, questo del 2003, Il mare di Luglio. Sublime vertice di emozione viva, capolavoro di continuità di toni tra mare e cielo, ad impreziosire la bellezza ferma e perfetta dell’opera concorre una leggera scia sulle acque che si perde all’orizzonte e che conferisce al dipinto un dolente tocco di nostalgia che non si può ignorare.
Antologia densa del colore del cielo, rassegna di tutte le sue tonalità, celebrazione dell’azzurro e dei suoi connubi coi fiati della sera. Se un cuore piange con consapevolezza la perdita di ciò che ha conosciuto,i pennelli di Guccione tracciano il solco di una nostalgia che non si conosce, che non si spiega, che non si sa da dove prende le sue origini. Sembra quasi che il paesaggio, “salvato” nella sua poetica, sia la rappresentazione di un oltre che comincia prima e al di fuori della tela e che nella tela si proietta ancora verso un orizzonte non definito (gli studi Per il nero e per l’azzurro). Cosa sia questo prima che precede il dipinto e che sta fuori dello spazio e del tempo, non è dato sapere. Come se l’immagine cominciasse in un scena che non si vede, che non conosciamo ma della quale l’opera costituisce una porzione mediana, la prosecuzione verso ciò che infine si staglia oltre l’orizzonte.
Ogni mare ha il suo gradino da quale ci scorgiamo per vedere dentro.
Si crede quasi che a forza di guardarne la profondità, gli occhi pellegrini ne prendano il colore.
Fiore all’occhiello della mostra ed “ospiti illustri” per l’occasione sono le due grandi pale realizzate da Guccione per il Battistero di S. Maria degli Angeli e dei Martiri in Roma, da cui sono state tradotte fino a Modica in via del tutto eccezionale. Realizzati nel 2009, oli dalle dimensioni notevoli (212 x110 cm), il primo raffigura un incontro in spiaggia di due figure dai contorni sfumati, quasi entità spirituali che non presenze fisiche. Una delle due rappresenta chiaramente il Cristo, che riassume in sé i tratti tipici trasmessi dalla iconografia storico- religiosa; l’altra, dal capo velato ed abbracciata tenuamente alla prima figura, richiama quella della Maddalena che, secondo il dettato biblico, fu la prima a vedere il Cristo risolto.
Il secondo dipinto è un chiaro mare Guccioniano che, seguendo ancora i canoni di un’ interpretazione in chiave religiosa, richiama forse il Giordano, anche se i tratti indefiniti della magnificenza di acque così vellutate non meritano di essere costrette entro la angusta qualificazione di un fiume.
È l’Infinito che vi si staglia nella sua bellezza incredibile, è l’infinito che vi leggiamo e che ci lascia sgomenti.
Pregiati portali di un’antica villa Romana, porte d’accesso alla dimensione dell’anima, monumentali opere testamentarie quasi classicheggianti per dimensioni, queste due immense “finestre”celebrano la spiritualità dell’arte di Guccione esaltando ed anticipando al mondo, in maniera quasi commovente, l’immortalità dell’autore, piegando gli occhi di chi osserva in una consapevolezza che attanaglia la gola: l’impossibilità di vincere la morte, se non attraverso l’arte. L’intera sala della galleria Dir’ Arte assume quasi le fattezze di elegante cenacolo al cui centro le pale si stagliano fieramente come fossero immense finestre, che aprono sulla parete vedute mistiche intrise di duende e religiosità.
Ciò che esula da queste immagini è inesorabilmente vecchio e destinato a perire, e noi con loro.
Non sappiamo da quale balcone Guccione si affacci per osservare i paesaggi che rappresenta; le coordinate spazio temporali, lungo le quali i pennelli muovono i loro tratti, vanno ricondotte nell’ordine dell’anima del pittore, dove il tempo sembra essersi fermato in una non meglio precisata, pacata rassegnazione crepuscolare (Dopo il Tramonto, olio su tela, 2008). L’Esistenza lo interroga discretamente. Le sue opere sono risposte di colore a questo continuo dialogo con la Natura. Sono sensazioni tardo romantiche, sono confidenze col mare che gli si presenta come amico e che lo interroga, come nelle atmosfere serali di Mare d’inverno (olio su tela, 2007). Non le esistenze che tormentarono il poeta portoghese Pessoa ma piuttosto un contatto che avviene ad occhi chiusi e che traduce, in perfetta sintesi, questo dialogo interiore in silenziosa rappresentazione di Bellezza (Come qualcuno che conoscesse l’anima stessa delle cose, e facesse il possibile per rammentare questa conoscenza, ricordando che non erano così come le conobbe ma non ricordando nient’altro”.) Guccione dà importanza a ciò che sente e ostenta una sincerità di emozioni senza pari, le sue sensazioni costituiscono la sua religione, la sua fede incrollabile (Piccola spiaggia, pastello,1995).
Pittore sì ma soprattutto poeta del visibile, e di un visibile col quale lui solo può vantare confidenza, lasciando a noi la conoscenza che ci arriva dalle emozioni degli occhi.
Osservando i suoi azzurri, ci si chiede se Dio possa non esistere. Attraverso il suo mare, abbiamo accesso ad un mondo di metafisiche effusioni di colori, gorgo di sogni impastato di tinte di tramonti, di giornate morenti. Viene in mente un famoso verso di Montale, tratto dalla poesia “Ho sceso, dandoti il braccio, milioni di scale” e che recita: “… né più mi occorrono le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede.”
Immensa galleria di dolcissime emozioni, portatrice di sospiri infantili per anime sensibili, connubio di saudade ed orgoglio siciliano, l’arte di Guccione possiede tutta la malinconia di chi ha sentito la vita respirare nei cieli ed ha visto i cieli specchiarsi nei mari: gli spetta l’immortalità che appartiene a chi sa dolersi, attraverso l’arte, della propria anima

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