MODICA. ACCUSATI DI MAXI TRUFFA IN DANNO DELL’ERARIO. TUTTI ASSOLTI

Raffica di assoluzioni nei confronti dei diversi imputati emesse dal giudice unico del Tribunale di Modica, Patricia De Marco, a conclusione del processo che vedeva alla sbarra nove persone, accusate di avere perpetrato una maxi truffa per oltre un miliardo di vecchie lire ai danni dell’Erario. Tre degli imputati, due modicani ed uno sciclitano, avevano già patteggiato la pena. Salvatore D’Amico, 47 anni, originario di Modica ma residente in Germania, difeso dall’avvocato Fabio Borrometi, Giuseppe Avola, 47 anni, modicano, che per un certo tempo si era dato alla latitanza, difeso dall’avvocato Salvo Maltese, Giuseppe Puma, 36 anni, Emanuele Agosta, entrambi modicani, difesi dall’avvocato Pippo Rizza, e Vincenzo Ruta, 32 anni, difeso dall’avvocato Carmelo Ruta, tutti modicani, sono stati assolti perché il fatto non sussiste. Giovanni Cristiano, 58 anni, originario di Vittoria ma residente a Riva del Garda, è stato pronunciato il non luogo a procedere in quanto lo stesso era già stato giudicato dal Tribunale di Rovereto per l’identico fatto. Il pubblico ministero, Diana Iemmolo, aveva invocato la condanna a 4 anni di reclusione per D’Amico, Avola, Agosta, Puma e Cristiano, un anno e sei mesi per Ruta. Parte offesa era l’Amministrazione Finanziaria dello Stato. I fatti si riferivano al periodo compreso tra il 1999 ed il 2000. Di mezzo c’erano una società denominata D.M. Bau srl. e le aziende di proprietà degli imprenditori coinvolti. Secondo la Guardia di Finanza, che eseguì l’indagine, gli imputati, al fine di consentire a numerose ditte della provincia di Ragusa e di diverse parti d’Italia l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, avrebbero emesso numerose fatture per operazioni inesistenti per un importo complessivo di oltre ottocentocinquanta milioni di lire per l’anno 1999, e di oltre trecento milioni di lire per il 2000. Il processo, in precedenza, era già arrivato alle conclusioni, ma prima che i difensori avviassero le rispettive arringhe, il giudice si accorse di avere già giudicato e condannato per lo stesso reato uno degli imputati, Cristiano, cosicché, pur con le richieste del piemme, dovette dichiararsi incompatibile e restituire gli atti al presidente del Tribunale che, conseguentemente, affidò il fascicolo al nuovo magistrato, costretto, a questo punto, a ricominciare daccapo.

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