Quando i «graffiti» erano opera di veri artisti

Per quanto possa sembrare assurdo, nel Rinascimento i graffiti furono usati nelle facciate dei palazzi, secondo la tradizione degli antichi bassorilievi. Polidoro da Caravaggio aveva fatto molti di questi lavori nei palazzi di Roma e di Firenze. I graffiti, originariamente, non erano quelli di oggi, fatti con le bombolette che imbrattano i muri di una città, che nascondono messaggi criptici, talvolta indecifrabili e accessibili solo al popolo dei «graffita-ri», coloro che vivono nell’ombra per non farsi scoprire. E se anche il significato della parola è molto cambiato, il graffito continua a sporcare la città, la nostra in particolare. Tanto per citare gli umori della gente, il gentilissimo Signor Spoto, che ha un negozio di gioielliere proprio in Piazza Matteotti, aveva appena finito di far rifare le pareti esterne che, la notte seguente, erano state sporcate in maniera indecente. «Non farò più nulla – ha detto – e lascerò le cose come stanno, a meno che non piglino il tizio che mi ha fatto questo lavoro». Ma si tratta veramente di un tizio?
Secondo gli inquirenti svizzeri, che in una sola notte avevano visto graffitata la stazione ferroviaria di Zurigo, in maniera quasi incredibile, in quanto si erano graffitati tutti i vagoni dei treni in sosta, i graffitari sarebbero dei gruppi che agiscono con una dinamica precisa, non anarchica, come si potrebbe credere, ma piena di un tipo di organizzazione che sfugge agli inquirenti. In Germania il problema è diventato grande una decina di anni fa. Intere squadre di poliziotti, con ronde notturne, ne hanno presi parecchi di graffitari, addirittura nel momento in cui, con le loro bombolette e una sveltezza da veri artisti, costruivano le loro figure o i loro criptogrammi. La punizione per questi giovani: quella di andare a pulire i gabinetti degli ospedali per alcune settimane, dodici ore al giorno. Pare che il fenomeno sia diminuito, ma la mania vera e propria è rimasta. Sono i graffiti una forma di reazione alla nostra società, eccetera eccetera, come alcuni psicologi vorrebbero darci a bere, o sono dei veri e propri vandali che non hanno nemmeno rispetto delle statue, dei capolavori d’arte? Quale esigenza sociale, o antisociale e politica, può avere colui, o colei, che recentemente ha imbrattato di giallo una statua della scalinata del nostro Duomo di San Pietro? Il problema a Modica sta diventando grosso: si amplia continuamente, e gli atti di vandalismo non cessano più. Sabato scorso si sono trovati i portacenere messi sul Corso dell’Amministrazione, sradicati e abbattuti. E improvvisamente le pareti di molti caffè, e negozi della parte alta del Corso – già che quella bassa è stata completata -sono state ritrovate imbrattate con strani disegni che hanno fatto bollire gli umori dei proprietari. Non considero questi graffitari delinquenti, ma essere vandali è una for-* ma di poco rispetto per la città dove vivono, per la gente che ci vive, per loro stessi. Perchè i gruppetti che si accampano a Piazza Matteotti, ma che nesuno fino ad ora può accusare di sporcare la città, vengono sopportati, direi anche, rispettati dalla popolazione. Allora, cosa bisogna fare? E chi è che deve curarsi del decoro cittadino, affinchè questa piaga abbia una fine possibilmente molto vicina? Sono i Carabinieri o la Polizia che devono prendere i responsabili, magari costringendoli a lavorare fino a quando avranno guadagnato quel tanto per poter ripagare coloro che sono stati colpiti dalle loro forme di «libertà di imbrattamuri», o se ne deve occupare l’Amministrazione? In Danimarca, alcuni anni fa, gruppi di cittadini si erano riuniti a Copenaghen, creando delle vere e proprie ronde fino all’alba, e distribuite nei punti nevralgici della città, nelle metropolitane, nelle piazze etc. Qualcosa si era ottenuta, e le punizioni erano state uguali a quelle dei tedeschi: il lavoro umile e sociale. Cosa possiamo fare noi a Modica per trovare un paio di responsabili e dare loro una lezione civile, molto di più di quanto falsamente civile e di protesta sia il loro imbrattar muri?
FRANCO ANTONIO BELCIORNO

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