Siciliani sempre più poveri e dipendenti dal pubblico

GAETANO CUSIMANO
Insultati dell’indagine condotta dalla Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane nel 2004, ancorché disponibili per le grandi aree geografiche (Nord, Centro e Mezzogiorno), meritano egualmente di essere conosciuti e commentati sia pure limitatamente all’area dove si colloca la nostra regione anche sotto il profilo economico: le differenze in termini di Pilper abitante fra la Sicilia e il Mezzogiorno sono, infatti, trascurabili. Nel 2004 il reddito familiare medio annuo, al netto delle imposte sul reddito e dei contributi previdenziali e assistenziali, è risultato pari a 21.463 euro nel Mezzogiorno, pari a 1.790 euro al mese, ragguagliandosi al 73 per cento del corrispondente dato dell’Italia.
Se facciamo riferimento al reddito pro capite, per eliminare l’effetto della maggiore dimensione delle famiglie meridionali, scopriamo che il reddito del Mezzogiorno si ragguaglia al 65 per cento di quello medio dell’Italia (7.468 contro 11.441 euro). Rispetto alla rilevazione del 2000, il reddito per abitante medio registra, al netto della lievitazione intervenuta nel livello dei prezzi, un aumento dell’1,9 per cento, contro il 3,3 per cento del totale delle famiglie italiane denunciando un aumento del divario a carico della nostra regione.
La composizione del reddito familiare del Mezzogiorno mostra che la quota prevalente è costituita dal reddito da lavoro dipendente (39,5percento), seguita dal reddito da trasferimenti (28,6 per cento), dal reddito da capitale (17,1 per cento) e dal reddito da libera professione e impresa (14,8 per cento). Il raffronto con la struttura del reddito familiare nazionale mostra che le famiglie meridionali registrano un surplus di trasferimenti di ben cinque punti percentuali, pari alla somma dei deficit di un punto circa nei redditi da lavoro dipendente e da libera professione e impresa e di tre punti nei redditi da capitale.
Un indicatore significativo delle differenze territoriali è rappresentato dall’indice di povertà economica, rappresentato dalla percentuale di individui al di sotto della soglia di povertà definita come la metà della mediana dell’aggregato di riferimento. Se facciamo riferimento al reddito pro capite, si scopre che nel Mezzogiorno l’indice di povertà economica raggiunge il 34 percento, risultando pari cinque volte quello del Nord e a sette volte quello del Centro e a poco più di due volte quello medio nazionale.
In termini di consumi equivalenti l’indice di povertà economica si dimezza (17,5 per cento) ma le differenze rispetto alle altre geografiche ed alla media restano rilevanti.
Il raffronto con i risultati della corrispondente indagine effettuata nel 2000 mostra un peggioramento dell’indice di povertà relativa, calcolato in termini di reddito pro capite, sia nel Mezzogiorno che al Nord (1,6 contro 2,4 punti) ed un miglioramento modesto al Centro (0,3 punti), alla cui determinazione ha contribuito il rilevante aumento medio annuo del reddito pro capite. In questo periodo il Mezzogiorno è risultato penalizzato in termini di crescita reale del reddito pro capite rispetto alle altre aree geografiche del Paese il cui tasso non ha impedito un aumento sia pure modesto dell’indice di povertà economica.

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