L’ex Albergo S.Giovanni e la ferita ancora aperta nel centro storico, Marino: “Si poteva fare molto di più”

L'ex albergo San Giovanni

“C’è una ferita ancora aperta nel cuore del centro storico di Ragusa superiore di cui nessuno più parla da anni. Speravamo che l’amministrazione grillina, che si dice sensibile a tematiche del genere, prendesse a cuore la questione. Ma, come sempre, quando si tratta della giunta

pentastellata, tra il dire e il fare c’è di mezzo l’oceano. E le questioni con ricadute sociali importanti restano sempre ferme al palo”. Lo dice la consigliera comunale del gruppo Insieme Ragusa, Elisa Marino, facendo riferimento all’ex hotel San Giovanni, a fianco del ponte Vecchio, che anni fa fu al centro di un’occupazione abusiva da parte del collettivo “La Fabbrica”, poi sfociato in una vicenda giudiziaria che fece molto discutere. “L’immobile, di proprietà dell’Inpdap – continua Marino – resta lì, abbandonato, utilizzato di tanto in tanto, ma nei fatti emblema di un centro storico che si vuole sempre uguale a se stesso, senza alcun sussulto. E’ possibile che in quasi cinque anni di attività il sindaco Piccitto, o qualcuno dei componenti della sua giunta, non sia transitato da quelle parti ponendosi il problema su cosa fare, se avviare una interlocuzione con l’ente proprietario per comprendere se c’erano le condizioni per un recupero? Possibile che questo sindaco non abbia la minima idea di quelle che sono le prerogative del suo ruolo politico, soprattutto quando questo ruolo dovrebbe favorire la comunità amministrata? Oggi tutta la zona a sud di piazza Cappuccini sembra un quartiere dormitorio. L’immobile dell’ex albergo avrebbe potuto essere utilizzato in mille modi differenti per cercare di riattivare quella vivacità che l’intera zona un tempo nutriva e che oggi sembra ormai nel dimenticatoio. Ci sono ancora le condizioni per fare in modo che questo rudere non continui a marcire sulle teste dei ragusani? Ecco, è il sindaco che dovrebbe preoccuparsi di capire come e in che modo questo potrebbe avvenire. Almeno porsi il problema, organizzare conferenze dei servizi, attivare un dibattito. E invece nulla di tutto questo. L’ignavia più assoluta”.

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