Elezioni, Sicilia. L’analisi di Ivana Castello(PD). Riceviamo e pubblichiamo

Intorno ai risultati della competizione elettorale per il governo della Sicilia (2017)
1. Saluti e ringraziamenti
Anzitutto debbo complimentarmi con gli eletti: Stefania Campo del Movimento cinque stelle, Nello Dipasquale che ha saputo vincere in un contesto caratterizzato da forti tensioni, Orazio Ragusa che dopo questa vittoria può considerarsi, di diritto, intramontabile, e Giorgio Assenza per il carattere riflessivo e per il ruolo costruttivo che potrà, sicuramente, giovare alle popolazioni iblee. Complimenti ed auguri di buon lavoro.
Un saluto affettuoso anche all’onorevole Giuseppe Di Giacomo, per la sensibilità manifestata in varie occasioni, per la spina dorsale dritta e per la serietà caratteriale, con rammarico.
Ringrazio, è il secondo e ultimo degli adempimenti preliminari, quanti, votandomi, hanno capito le tensioni e i valori che mi hanno indotto ad affrontare la campagna elettorale. Un ringraziamento riconoscente lo devo ai componenti del Comitato elettorale che mi hanno aiutato, sostenuto, collaborato, incoraggiato, per il conseguimento di un risultato che, data la penuria dei mezzi a disposizione e le resistenze incontrate, deve considerarsi soddisfacente oltre ogni previsione. La competizione è stata logorante per una pluralità di fenomeni che l’hanno percorsa, spesso in modo anomalo. La parte più bella di quest’esperienza è che mi sono rimaste dentro tante sensazioni d’affetto che vanno assai al di là del mero dato elettorale. Grazie, dunque, indistintamente a tutti. Anche agli avversari, vincitori o, come me, dispersi nel polverone.

2. Il risultato elettorale a Modica

Il risultato regionale l’abbiamo commentato e sentito commentare più volte. Mi limiterò, per ciò, a riflettere, pur in superficie, sul voto modicano e sulle ragioni che hanno determinato la sconfitta del Partito Democratico. Ha vinto la Destra perché ha saputo unirsi, lasciando fuori le vischiosità proprie dei partiti che la compongono. Il cosiddetto «patto dell’arancino» ne costituisce il formale punto di svolta. Il Partito Democratico è arrivato all’appuntamento elettorale come un filosofo pungolato verso mille obiettivi disparati, di frequente in contrasto tra loro. Una situazione siffatta si qualifica conflittuale. La conflittualità nazionale tra le diverse anime del Partito democratico l’abbiamo registrata tale e quale in Sicilia. E qui mi soffermo un attimo per descrivere il fenomeno. Sappiamo che il Partito s’è scisso in due frazioni: il Partito Democratico propriamente detto e «Articolo 1 – Movimento Democratico e Progressista». Il conflitto, per come è nato e considerate le condizioni poste dagli scissionisti per un’eventuale riconciliazione, non sembra superabile. Il 25% degli ex democratici, infatti, pretende di comandare sul restante 75 per cento. Si tratta di condividere la più elementare regola di funzionamento della democrazia, la quale può essere respinta solo in casi di radicale dissenso ideologico. Se tale dissenso esiste è inutile parlare di rappacificazione. L’un partito è una cosa e l’altro tutt’altra cosa. Meglio mettersi i cuori in pace. Rimedio tentabile è quello di incontrarsi per esaminare se le ragioni del dissenso sono veramente insuperabili. Parlo delle ragioni ideologiche, non di quelle che concernono il comando del Partito. Ad ogni buon conto molti o moltissimi voti dei democratici renziani si sono riversati nella lista Centopassi, detta anche Lista Fava. Sono transitati, dunque, da un partito democratico a un altro, anch’esso in qualche modo democratico. Si potrebbe dire che siamo innanzi ad una faida interna o pressoché tale. Si tratta di passaggi solo in apparenza ideologici. Sin qui il fenomeno avvenuto su scala regionale e, quindi, che coinvolge anche Modica. Nella nostra città, però, l’esodo è stato esasperato per ulteriori ragioni che mi cruccia ricordare.

Un altro fenomeno proprio della provincia di Ragusa, è stata la candidatura di Giuseppe Roccuzzo, Presidente del Consiglio comunale di Ispica, appoggiata su tutti i fronti dalla CGIL provinciale. Si è trattato, tuttavia, di un appoggio, dico solo una mia sensazione, che è parso calibrato in modo chirurgico. E’ molto strano che Roccuzzo non sia stato eletto. Ciò mi dice che la sua candidatura potrebbe essere stata attivata per determinare un’ulteriore dispersione dei voti del Partito Democratico.

Uno sguardo finale va volto alle preferenze che sono affluite sul mio nome. Sono voti di simpatia, di condivisione o di successo personale. Una gran parte del Partito Democratico si è impegnata su altri nomi, per carità, assolutamente legittimi, o si è incanalata su altri partiti. Le tre principali destinazioni sono la Lista Centopassi (Fava), l’astensione o i candidati ufficiali (Roccuzzo e Dipasquale). Il mio elettorato, salvo eccezioni, è costituito da persone terze, non tutte disposte ad accrescere il Partito. Persone che aspirano a cambiare l’attività politica eleggendo rappresentanti che lavorino onestamente e con metodo. In altri termini, hanno l’esigenza che si bandisca la ricerca del consenso fine a se stesso. In ciò abbiamo molto da imparare. In Italia un modello che potrebbe essere emulato è costituito dal Partito Radicale

3. Il malessere del Partito Democratico

Il Partito Democratico è in crisi. In che consiste questa crisi? Per rispondere non basterebbe un libro di buon volume. C’è stata una crisi di comando che mi sembra innegabile. Renzi ha esautorato una leadership vecchia di qualche decennio, che da un giorno all’altro si è trovata disoccupata e subordinata. C’è stata pure una crisi di autorità da parte dello stesso Renzi, sorpreso dalle contestazioni della vecchia guardia. E c’è, forse, una crisi di natura valoriale, tutta, comunque, da definire poiché, a rigore, i valori dovrebbero venire dal popolo e non essere imposti dall’alto. E il popolo, in realtà, è rimasto esattamente quello che era al momento dell’avvento della leadership di Renzi. D’altronde un forte imborghesimento era avvenuto già durante la non breve dirigenza di Bersani. Ricordo alcuni provvedimenti assolutamente liberistici deliberati da Walter Veltroni, quand’era sindaco di Roma, e dallo stesso Bersani quando fu ministro nei governi Prodi tra il 1996 e il 1999 e tra il 2006 e il 2008. Durante il primo liberalizzò la produzione dell’energia elettrica e durante il secondo parecchi altri àmbiti. Le sue costituiscono scelte storiche non in linea coi valori sostenuti dal Partito Comunista Italiano prima e dai suoi successori poi. Ammesso, comunque, che sussista disaccordo su alcuni valori, le parti possono incontrarsi e discutere. Non si pone come pre-condizione alla discussione che Renzi lasci il comando del Partito. Chiunque chiedesse tanto peccherebbe di presunzione, antidemocrazia e arroganza. Sino a prova contraria, Renzi è stato voluto dal 75% dell’elettorato democratico.
Se esiste un problema o un disaccordo, occorre solo discutere del problema, senza pre-condizioni. Prima degli interessi personali si pongono gli interessi generali. Discorso diverso è che si voglia rimproverare a Renzi qualche errore di conduzione del partito o di natura morale.

4. Renzi, la Sicilia e la democrazia

Renzi è un giovane molto attivo. Qualche anno fa, in Sicilia, ha nominato Alessandro Baccei assessore dell’Economia, con lo specifico incarico di esaminare il bilancio regionale prima della sua approvazione e di apportarvi le necessarie variazioni al fine di non costituire ulteriori debiti. Baccei non ha potuto frenare tutte le sconcezze di Crocetta, ma certamente un buon lavoro lo ha fatto. La decisione può apparire un’indebita ingerenza ma, contro ogni giudizio affrettato, può essere utile considerare che è stata assunta a tutela della democrazia. Assai di frequente, oggi, la normale dialettica democratica è impedita. Non si dimentichi che talune persone aggregate in «Articolo 1» sono le medesime che hanno determinato la permanenza del finanziamento pubblico dei partiti in contrasto con quanto stabilito dal popolo in sede referendaria. Non sono un ottimo esempio di democrazia.

5. Piero Grasso, causa della sconfitta del PD

Taluno ha affermato che se il Presidente del Senato Pietro Grasso avesse accettato di candidarsi alla Presidenza della Regione, avrebbe evitato la sconfitta del Partito Democratico in Sicilia. Ciò è letteralmente vero, ma altro è dire che Pietro Grasso sia la causa della sconfitta subita. Ne va dello stesso concetto di causa e della autonomia personale di Grasso. In senso scientifico per causa s’intende qualunque azione che determini un fatto o un fenomeno. Se Grasso avesse accettato la candidatura avrebbe compiuto una pluralità di azioni (la campagna elettorale), determinando la vittoria del Partito Democratico. Grasso dunque, avrebbe potuto essere (in ipotesi) causa della vittoria, ma non è certamente causa della sconfitta del Partito. Manca proprio la sua azione e in mancanza dell’azione non può divenire causa. L’affermazione non sta in piedi nemmeno in termini pressappochistici. Il Pd ha perso perché frammentato e senza una guida. Come già detto per Modica, in questo momento molti iscritti al Partito Democratico tirano per le direzioni che più gradiscono, sulla base anche di riflessioni assolutamente erronee o immorali. Ma anche questa è una forma di democrazia.

Ivana Castello

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