Etica. A Modica “Vasa Vasa sì”, “Vasa vasa no”: processioni, feste e pellegrinaggi religiosi tra fede, folklore e spiritualità

madonna vasa vasa 2016 08

A margine di quanto si è detto e scritto sulla tradizione della Madonna Vasa Vasa di Modica, circa l’opportunità di allungamenti della processione e bacio serale nonché coinvolgimento del patrono della città San Giorgio, desidero esprimere alcune considerazioni su quelle realtà che nella pastorale della Chiesa si rinnovano di anno in anno, come feste, pellegrinaggi e processioni che spesso portano alla luce, oltre al dato della fede, comportamenti e atteggiamenti etici carichi di perplessità e di domande.
Purtroppo quando si tocca l’argomento della pietà popolare spesso prevalgono il giudizio o il pregiudizio, la difesa o l’accusa, quando, invece, occorre riflettere poggiando il ragionamento non su convinzioni personali e soggettive quanto su orizzonti teologici aperti alla misericordia, alla fede e all’amore.

Un dato sembra certo: che c’è chi trova veramente inconcepibili nel terzo millennio realtà come le devozioni, il voto, le processioni e pellegrinaggi di vario genere, considerati, sic et simpliciter, solo eventi folkloristici, espressione di fanatismo ove addirittura si infiltrano mafia e camorra.(casi in questa direzione, sia in Sicilia che in Campania ne sono stati denunciati parecchi). Ma la Chiesa, è questa la domanda, come si è posta, lungo il suo cammino, di fronte alla pietà popolare?
Certamente non si può negare che le critiche hanno sicuramente elementi di verità, e la Chiesa stessa è a conoscenza di feste e pellegrinaggi ove il maligno si insinua per trasformarle in altra cosa. Tuttavia, è giusto che si guardi l’insieme per cogliere il senso e il significato, nel caso specifico delle feste religiose, delle processioni, e poi anche dei pellegrinaggi.
Le processioni hanno un senso perché sono espressione della fede e la Chiesa le conserva perché anche la stessa Parola di Dio ci parla di processioni. In Gn 6 si fa riferimento alla processione intorno alla città di Gerico con l’Arca dell’Alleanza, mentre in 2 Samuele, al cap. 6, si descrive il ritorno dell’Arca dell’Alleanza sul monte Sion per opera di David. Sotto il re Salomone il popolo di Israele porta in processione l’Arca nel tempio ricostruito( 1 Re 8) e lo stesso Gesù entra in Gerusalemme con una festosa processione al suo seguito (Lc 19,29ss.). Dunque la processione, a livello di ethos del credente, dovrebbe essere (purtroppo spesso non lo è) un incedere dei fedeli lungo le vie di una città per esprimere e confessare apertamente la fede in Dio e festeggiare, attraverso la figura del santo o del patrono il trionfo del bene e dell’amore sul male.
La storia della Chiesa ci offre poi tanti esempi di processioni di figure di martiri. Già nel IV secolo, ad esempio, le processioni erano una consuetudine molto sentita nella Chiesa di quel periodo, tant’è che erano uso comune le cosiddette “funzioni stazionali” sulle tombe dei martiri. In pratica, i fedeli e il clero sceglievano una chiesa e vi si radunavano, quindi si portavano in processione, cantando litanie, verso l’altra chiesa designata per la messa stazionale. (Cfr. Enciclopedia liturgica, Edizioni Paoline, Alba, 1957, p. 466).
Tutto il periodo della storia della chiesa che va dal IV al VII secolo ci trasmette ancora testimonianze intorno allo svolgersi di processioni, che venivano poste in essere per varie finalità: traslazione di reliquie, ricevimento del vescovo, o per ringraziamenti e preghiere in occasione di eventi come malattie contagiose o intemperie ambientali. (Cfr. L. Eisenhofer, Compendio di Liturgia, Marietti, Torino 1954, p. 57). Dunque, la Tradizione della Chiesa ci insegna che le processioni non sono un fenomeno di fanatismo o di folklore, ma una testimonianza della fede dei credenti, ecco perché S. Ambrogio approvò le processioni affermando che “Non è possibile che Dio disprezzi la devota preghiera di tante persone” e S. Giovanni Crisostomo poté lui stesso farsi organizzatore di processioni rogatorie, ove i fedeli, a piedi nudi, con abiti da penitenti e osservanti del digiuno, partecipavano numerosi, perché la pioggia ininterrotta impediva la vegetazione nei campi.
Anche S. Carlo Borromeo, nel 1576 in occasione delle peste di Milano, ci dà testimonianza del senso religioso della processione. Egli durante la celebrazione cosparse con cenere, prima dell’uscita dalla chiesa, tutti i partecipanti alla processione, quindi si tolse i paramenti vescovili e, a piedi nudi, con una corda al collo e un crocifisso in mano, si mise in testa alla processione per offrirsi a Dio come sacrificio per i peccati del popolo. In quella circostanza tutto il popolo dei fedeli partecipò con fede alla processione, osservando un intenso digiuno come il suo vescovo.( Cfr. A. Barth, Enciclopedia catechetica, Edizione Paoline, p.126.)
Le nostre processioni e feste religiose, di cui l’area iblea è ricca, offrono di se stesse l’aspetto precedentemente descritto oppure sono diventate altro, riti pagani, mero folklore dove tutto viene ridotto a spettacolo pirotecnico? Sono queste le domande su cui riflettere, argomentare senza erigersi a giudici di nessuno, lasciandosi guidare dal Magistero della Chiesa.
Per quanto riguarda poi i pellegrinaggi, è vero che possono rischiare di sfociare in atti di fanatismo e devozionismo sterile, ma questo non può essere motivo per negarne il valore e il senso positivo che è riscontrabile anche nella Bibbia. Nell’Antico Testamento, ad esempio, Dio prescrive a tutti gli israeliti maschi di andare a Gerusalemme in pellegrinaggio tre volte l’anno (Es 23, 14 ss; Dt 16,16). Gesù stesso si recò per la prima volta in pellegrinaggio a Gerusalemme all’età di dodici anni, quindi vi si recò più volte durante la sua missione terrena.
Ecco perché la Chiesa riconosce i pellegrinaggi, perché sono una forma di culto a Dio con la quale il popolo canta e prega in un determinato luogo per invocare grazie a Dio e per ricordare a se stesso che tutti i credenti sono pellegrini. Va anche detto, inoltre, che in tutti i tempi i cristiani hanno visitato i luoghi in cui Cristo ha vissuto la sua vita terrena, ha patito ed è morto. Già verso il 200 d.C. il vescovo Alessandro di Cappadocia fa un pellegrinaggio verso i luoghi santi di Gerusalemme, (Cfr. Eusebio, Storia ecclesiastica, 6,9.), mentre nei secoli successivi abbiamo testimonianze di pellegrinaggi, come quelli dell’XI secolo, allorché ai pellegrinaggi individuali si sostituirono quelli di gruppo; per esempio, l’abate del monastero di San Vanne condusse con sé fino a 700 compagni, mentre nel 1065 il gruppo guidato da Gunther, vescovo di Bamberga, comprendeva circa dodici mila persone. (Cfr. A. Barth, op. cit. , P. 169).
Nella Chiesa del medioevo di questi pellegrinaggi se ne conoscevano molti e si distinguevano in due specie: quelli definiti “maggiori” e che avevano come meta Roma, il Santuario di S. Giacomo di Compostela, la tomba di S. Tommaso di Canterbury, il sepolcro dei Tre Re magi di Colonia; e poi quelli definiti “minori” che avevano come meta altri luoghi santi, tra i quali la tomba dell’ apostolo Pietro, ove i visitatori gettavano monetine attraverso le finestrelle.
Dunque, nella tradizione della Chiesa i pellegrinaggi hanno avuto da sempre un loro senso e, pertanto, anche oggi, al di là di possibili deviazioni che , in fondo, vi erano anche nel passato, la Chiesa incoraggia e sostiene le feste, le processioni e i pellegrinaggi auspicando che siano vissuti come un momento di fede e di crescita spirituali del credente.
Ma nella Chiesta stessa non mancano coloro i quali, in nome di un rinnovamento pastorale, vorrebbero fare piazza pulita di tutto questo. Ma il rinnovamento non si fa eliminando, ma rendendo significativo, dando senso etico, spirituale e valoriale a ciò che nella storia della fede ci è stato consegnato. E’ difficile, ma bisogna sempre provarci! Non è certamente con una processione o un pellegrinaggio che ci si salva e si cambia la società, ma se la Chiesa riesce a fare assumere a questi strumenti una funzione “segnica” finalizzata a ricordarci il nostro essere di passaggio in questo mondo e il bisogno di conversione quotidiana poggiata sull’imitazione di Cristo o del Santo portato in processione che, sull’esempio di Gesù, ha dato la vita per gli altri, allora siamo ad un livello più alto dove ciò che più conta e vale non è la devozione ma la conversione.

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