L’OSSERVAZIONE DAL BASSO… di DIRETTORE. Il Disegno di legge sulla riforma della scuola tra problemi e prospettive: L’autonomia scolastica/1

domenico pisana

Continua il braccio di ferro sul disegno di legge sulla scuola che vede, da una parte, docenti, studenti e sindacati e, dall’altra, il Governo.
A questo proposito desidero fare alcune osservazioni sul Disegno di legge in discussione, portando l’attenzione, in diversi puntate, su alcuni aspetti del documento legislativo: a)l’autonomia scolastica; b) i poteri del dirigente scolastico e la collegialità; c) la valutazione dei docenti, la premialità e la meritocrazia; d)le competenze contrattuali; e) il potenziamento del piano dell’offerta formativa; f)il sistema duale tedesco e il precariato.

Direi, intanto, che stiamo assistendo ad una lotta all’interno della stessa famiglia, la scuola, dove le parti contendenti si sentono tradite e dove entrambe sono portatrici di verità, mezze verità, piccole verità.
Il Governo, dapprima, voleva sbrigativamente riformare la scuola con un decreto legge, ma giustamente l’opposizione e i sindacati gli hanno fatto osservare che su una materia del genere non si poteva esautorare il ruolo del Parlamento.
Ora che il disegno di legge è stato fatto ed è stato anche approvato dalla Camera, l’opposizione e i sindacati vogliono che il Governo faccia un decreto legge per stralciare l’assunzione dei precari, mentre al Senato arrivano sul tavolo circa 3000 emendamenti. Messaggio: bisogna bloccare tutto! Portiamo a casa l’assunzione dei 100 mila precari con il Decreto legge. Per il resto rimandiamo tutto, poi si vedrà. Il Governo chiaramente non ci sta. Batti e ribatti! Batti e ribatti! Batti e ribatti!
Non c’è dubbio che in questo quadro di schieramenti, direi “fratricida”, si contrappongono due concezioni del sistema scolastico: a)da un lato un sistema scolastico di tipo impositivo, prescrittivo, efficientista, di stampo aziendale e di morattiana e gelminiana memoria, che non piace a docenti e sindacati(visto l’alta percentuale di scioperanti e il blocco degli scrutini) e che buona parte dell’attuale dirigenza del PD aveva a suo tempo fortemente contestato;
b) dall’altro lato un “sistema autonomistico” che si inserisce nell’alveo del regolamento dell’autonomia n.275 del 1999 emanato da Berlinguer e riveduto e corretto dalla legge Profumo del Governo Monti con la focalizzazione delle “reti di scuole” e dell’organico funzionale, su cui sta invece insistendo il Disegno di legge del Governo Renzi.
Ed allora un’ osservazione desidero farla su un apsetto del disegno di legge: l’autonomia scolastica, su cui le parti contrapposte potrebbero trovare un sano compromesso.
Certamente è un bene che la scuola sia uscita, già da tempo, da una visione centralistica e che si sia indirizzata verso la valorizzazione delle autonomie scolastiche locali come soggetti capaci di rendere flessibile e di contestualizzare nel loro territorio il percorso culturale e formativo degli studenti nel rispetto dei profili educativi, culturali e professionali propri di ciascun ciclo di studi e dei relativi obiettivi di apprendimento, fissati a livello nazionale.
In sostanza, se il disegno di legge sulla buona scuola, già approvato alla Camera, punta a “ri-valorizzare” e ad ampliare, nella sua accezione più positiva, più democratica e collegiale, il sistema autonomistico, ciò non può che essere un elemento di positività, atteso che il Piano dell’offerta formativa(passato da annuale a triennale) e il “curriculum” dello studente, che c’erano prima e che continuano ad esserci nel nuovo disegno di legge, sono finalizzati al superamento dei vecchi Programmi tradizionali uniformi per tutti, tanto, però, ancora cari alla maggior parte dei docenti.
In continuità con quanto già in atto, il Ddl sulla riforma mira dunque ad assicurare agli studenti conoscenze, acquisizioni di abilità e competenze nonché livelli, tempi e modalità di apprendimento più “personalizzati”, cioè più consoni alle loro vocazioni, alle loro attitudini, così da consentire a tutti gli studenti il raggiungimento di una formazione culturale che li renda capaci di interagire con il territorio in cui insiste l’istituzione scolastica, nonché di aprirsi al mondo produttivo e di non rimanere indietro.
In questo quadro di rilancio autonomistico, dunque, è possibile che tutti gli studenti siano messi in condizioni di raggiungere degli obiettivi, anche con livelli diversi e secondo le capacità di ognuno, evitando così che la scuola cada nel rischio di “fare parti eguali tra diseguali”, come direbbe il grande Don Milani.
Su questo dato valoriale dell’autonomia scolastica, nella prospettiva con cui ne abbiamo parlato, credo non si possa più tornare indietro, ma occorre invece che le parti contrapposte sappiano trovare un dialogo vero, non ideologico né pregiudiziale a prescindere.
Puntare sul rilancio dell’autonomia scolastica mi pare, a questo punto, importante, a condizione, però, che autonomia scolastica non significhi continuare ad insegnare come 30 anni fa asserendo che il passato è sempre migliore del presente; non significhi anarchia né mancanza di regole, né altresì un “decentramento” della scuola “riaccentrato” nelle figure dei dirigenti scolastici; non significhi continuare a dare alla scuola parametri e conduzioni di tipo meramente aziendale. L’autonomia, aggiungiamo inoltre, non può continuare ad essere “accattonaggio di risorse economiche” né una richiesta a lavorare senza mezzi e strutture, o a fare volontariato.
L’autonomia è una cosa seria, è democrazia, è superamento del pensiero unico, è libertà di insegnamento secondo il dettato costituzionale, è investimento di risorse umane e intellettive, è utilizzazione non di briciole ma di risorse finanziarie vere e finalizzate a progetti educativi significativi e di alto profilo e con ricadute sulla formazione degli studenti.
L’autonomia, ancora, non può essere un fai da te, un self service; non può scadere in una riduzione della collegialità a demagogia ed ostruzionismo di stampo ideologico-politico, né in una ricerca di cavilli burocratici, né in uno spreco di risorse per un coacervo di attività; non può altresì essere un pantano di sabbie mobili dove si perde di vista il fine ultimo della missione scolastica, vale a dire la formazione culturale, umana, sociale, morale degli studenti e la possibilità di creare per loro condizioni di inserimento motivato e qualificato nel mondo produttivo.
Credo che scuola, docenti, sindacati e Governo su questo debbano trovare davvero un’ intesa. Giocare con i “muscoli” può portare solo ad un risultato, e cioè il varo di un’ ulteriore riforma scolastica , come quella varata a suo tempo da Berlinguer, poi bloccata da De Mauro e ancora dalla Moratti, come quella varata dalla Gelmini poi bloccata da Fioroni. Tutte queste riforme non hanno minimamente inciso sul cammino della scuola che è andata di male in peggio, nonostante le regolari pubblicazioni sulla Gazzetta Ufficiale, perché sono state riforme che non hanno mai trovato un consenso nella scuola reale, nonostante i vari Governi, di centrodestra e centrosinistra, ci abbiano provato facendo ricorso anche a commissioni di saggi, di esperti e a quant’altro per realizzarle.
Se anche la Riforma del Governo Renzi dovesse essere varata senza il coinvolgimento della base delle istituzioni scolastiche, dei docenti e delle forze, sindacali, andrà anch’essa sulla Gazzetta Ufficiale, ma probabilmente sarà destinata ad essere una legge formale ma non certo con possibilità a tradursi in un reale processo di profonda innovazione degli ordinamenti scolastici, come del resto dimostrano vent’anni di precedenti riforme.
Dunque sul valore dell’autonomia un sano compromesso tra governo e sindacati è auspicabile , magari introducendo alcuni elementi di maggior rilievo: una piena “autonomia finanziaria” delle Istituzioni scolastiche; un rafforzamento del “fondo di istituto” per rendere più congrui i compensi erogati ai docenti per le funzioni aggiuntive; una rimodulazione del ruolo e del significato degli organi collegiali(Collegio docenti, consigli di classe, Dipartimenti, Consiglio di Istituto) che l’autonomia non può trasformare in organi ideologico-politici od omologare ai sistemi della politica, rischiando di ridurli a organi ove allignano strumentalismi, demagogie, rivendicazionismi sterili, cose del tutto estranee ai processi educativi che hanno bisogno di habitat lavorativi sereni in cui la cultura deve essere percepita come esperienza di umanesimo e di crescita relazionale. La riforma della scuola non può essere equiparata a qualsiasi riforma del pubblico impiego, ecco perché, nonostante i tentativi, si stenta a trovare intese. Pur tuttavia un cambiamento è necessario, e nella direzione di una scuola dei diritti e dei doveri, democratica e innovativa, formativa e aperta la mondo produttivo.
Nella prossima osservazione dal basso cercheremo di riflettere sul ruolo e i poteri dei dirigenti scolastici.

Condividi su facebook
Facebook
Condividi su twitter
Twitter
Condividi su whatsapp
WhatsApp
Condividi su email
Email
Condividi su print
Stampa