LA MAFIA RINGRAZIA di Carmelo Scarso

carmelo scarso

Non è una provocazione. E’ l’invito ad una riflessione. Tante lune sono trascorse da quando fui impegnato professionalmente in una delle prime operazioni antimafia dopo l’entrata in vigore dell’art. 416 bis c.p. (anno 1982). Da allora posso dire di avere vissuto molte analoghe e qualificate, per tema, esperienze processuali e fino ad oggi non posso dire di conoscere a fondo la mafia.

Una esperienza ha lasciato il segno, ad opera di un salesiano, che contattai per indagini difensive. Era stato trasferito da qualche anno da una grande città isolana, ove operava in un malfamato quartiere con un indice di criminalità elevatissimo, in un piccolo paese dell’entroterra siciliano, succube della mafia. Gli chiesi cosa fosse per lui, alla luce della sua esperienza, la mafia. Rispose: “Avvocato, in quel grande centro con molti criminali sapevo tutto di tutti. Qui, per piccolo che è questo centro, non so nulla di nessuno. Ecco cos’è la mafia”.
Questo incipit del discorso serve a fare capire in concreto che la mafia è un problema importante e delicato, che non può essere affrontato come un qualsiasi altro problema criminale. Falcone e Borsellino e tutti gli altri caduti per mano della mafia l’avevano capito e avevano capito che il pericolo maggiore per la mafia è costituito dagli uomini che riescono a capirla.
La mafia e i mafiosi non hanno un segno distintivo: questo lo assumono dopo che indagini glielo affibbiano. Ma i mafiosi non sono solo gli indagati o i condannati. Ci sono tanti altri che sfuggono e che spuntano ciclicamente per necessità a seguito di indagini decapitanti o per i cambi generazionali od operativi.
La gente si chiede spesso chi e dove siano i mafiosi. La risposta è tanto semplice quanto ovvia, ma come tutte le ovvietà non vengono notate o comunque non vengono esaminate criticamente: in mezzo alla gente. Sono protetti dalla ordinarietà e dalla genericità dell’ambiente e delle persone.
Allora il problema di fondo della lotta alla mafia è abbattere questa protezione, cioè abbattere i muri della ordinarietà e della genericità. Sembra facile ma così non è, come dimostrano le immani difficoltà in cui incorrono le indagini. D’altra parte cercare nell’ordinario e nel generico é come cercare un ago nel pagliaio.
Purtroppo, però, alcune iniziative non tengono conto della realtà mafiosa e i loro fautori, di cui non posso discutere della loro buonafede, si avventurano in progetti che assicurano ai mafiosi proprio la maschera protettiva della ordinarietà e della genericità. In altri termini credendo di combattere la mafia, invece l’aiutano.
Lottare contro tutte “le mafie”, intendendo con questa espressione di qualificare e indicizzare tante mafie (amministrativa, economica, sanitaria, emigratoria e perché no giudiziaria), cioè considerare affetto da mafiosità ogni settore della vita sociale condizionato da atti di prevaricazione, di arroganza, di minacce e violenze, di condizionamenti e assoggettamenti, ed oggi ci sono tantissime realtà di questo tipo, significa attribuire ordinarietà e genericità al problema mafia. Se si continuerà ad inflazionare di mafiosità tutte le manifestazioni di criminalità ancorché organizzate, si finirà con il perdere la differenza tra la mafia, che resta immutabile nelle sue salienti caratteristiche criminali, e le altre realtà criminali: tutto il mondo del malaffare dentro l’unico, ma ordinario e generico, catino del marciume sociale.
La conseguenza ineluttabile sarà quella per cui nessuna differenza sussisterà più tra il mafioso ed un qualunque altro criminale sia pure di spessore, ma non pericolosissimo come il primo: prima o poi gli istituti di diritto, nel parificare le varie realtà criminali, assimileranno un qualunque criminale al mafioso, ma sarebbe vero anche il contrario che il mafioso verrebbe assimilato a qualunque altro criminale.
Da ultimo, senza indulgere a sospetti di strumentale speculazione politica, Mafia-Capitale sembra essere l’esempio del declassamento di fatto all’ordinarietà e alla genericità del fenomeno mafioso. Dai resoconti massmediali, che oggi sono molto più informati e documentati dei difensori e forse anche di magistrati pure interessati e impegnati nelle indagini, in quanto hanno sempre comunicati le copie di atti riservatissimi (“chissà” come non è dato sapere, mentre è intuibile il “chissà” perché), è possibile nutrire molte perplessità in merito alla configurazione giuridica dei fatti: un sistema organizzato di corruzione, sia pure sostenuto da un amalgama di minacce e violenze, promosso ad organizzazione mafiosa.
La mafia, è bene che si sappia, non corrompe, arruola. Essa non è disponibile a mettersi in gioco per sfruttare un passeggero periodo storico di crisi morale della società: essa è ben altro.
Allora è evidente che assimilare una criminalità giustificata solo da un transeunte momento storico, di cui è espressione, al sistema mafioso, ha come effetto lo svilimento di tutta la problematica, preventiva e repressiva, della lotta alla mafia. In questo contesto la mafia ha tutto l’interesse a cavalcare l’onda lunga di indagini che non potranno che portare alla liquefazione del problema di cosa sia e di dove si trovi.
La mafia ringrazia ?…… Mi rode un pensiero.
Mi chiedo se questo effetto non sia intuibile da parte degli addetti alla lotta al fenomeno mafioso, specialisti molto più di me.
Questo pensiero erosivo parte da un risvolto pragmatico della lotta alla mafia (badate non uso il termine antimafia per non incorrere nella scomunica di Leonardo Sciascia), costituito, nell’ambito di riconoscimenti di meriti conquistati sul campo, dal profitto di varie associazioni e organizzazioni che si legittimano ad acquisire i beni dei mafiosi. Non siamo lontani dal concetto di business.
Non solo: la lotta alla mafia ha fatto tante vittime, ma ha anche attribuito onorificenze, premi, di carriera e non, e risarcimenti. La politica, per prima, annovera tra le sue fila premiati militanti dell’antimafia.
Insomma, la lotta alla mafia è diventata l’”apriti Sesamo” del successo in termini di carriere pubbliche e di business economici.
Il pensiero che mi rode ?
Gli uomini, che misuravano il tempo con il passare delle lune, valevano in relazione agli scalpi che portavano alla cintura. Più scalpi più onori e più potere. Ma per esserci più scalpi occorrevano più nemici da scalpare.
E così con la mafia: più mafia e più mafiosi e più………….

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