Meglio finirla che continuare…a cura di Rita Faletti

Italy's Prime Minister Letta listens to a reporter's questions during a joint news conference with Gurria, secretary-general of the Organisation for Economic Co-operation and Development (OECD)  at Chigi Palace in Rome“Un colpo alle spalle dell’Italia che lavora è il “j’accuse” di Epifani rivolto al PDL e al suo leader per le dimissioni in massa dei suoi parlamentari. Sproporzionata reazione quella del segretario del PD, come insincera e strumentale l’osservazione di Letta, una settimana fa, quando ha incolpato gli alleati di governo di aver determinato lo sfondamento del deficit dal 3% al 3,1%. Instabilità è lo spauracchio agitato dal PD in questi giorni, come lo spread era lo spauracchio agitato dal governo Monti. Ora che i tecnici ci hanno per fortuna lasciato, veniamo a scoprire che lo spread era un alibi per tartassare gli Italiani, i quali, a pochi mesi dal licenziamento del Monti-governo, non stanno certo meglio di prima che lui arrivasse a salvarli. Tra suicidi, fallimenti, chiusura definitiva di aziende mentre altre sono in coda per lasciare l’Italia, oltre che più poveri, gli italiani sono anche infinitamente più tristi e sfiduciati. Se un bocconiano di indiscussa fama, apprezzato all’estero e in patria, ha fallito, Letta un ex-democristiano, che prima di ricevere l’incarico da Napolitano era una figura di secondo piano, piuttosto anonima, che alcuni addirittura confondevano con il più noto zio Gianni, ebbene, questo personaggio, privo di un qualunque segno distintivo e di carisma, come potrà tirare fuori il paese da una situazione di impasse in cui langue non certamente solo per le beghe giudiziarie di Berlusconi? Letta è un arnese nelle mani di Napolitano il quale se ne serve come veicolo nello scambio di comunicazioni con la Merkel e Bruxelles, visto che l’Italia, nonostante sembri il contrario, non è ancora una repubblica presidenziale. Si vorrebbe far credere che in assenza di stabilità, l’aumento dell’IVA al 22% è ineluttabile. Ammettano piuttosto di aver fatto male i conti e che Saccomanni non ha trovato i quattrini per la copertura necessaria ad evitare l’aumento. Infatti, già a metà settembre, il ministro dell’Economia ipotizzava l’aumento di due punti, dal 21 al 23% per restare entro la soglia del 3%. A quella data Berlusconi non aveva ancora minacciato il ritiro dei parlamentari. Così mentre l’Europa ci chiede conto della situazione contabile e finanziaria, c’è chi, nel PD, vorrebbe far pagare, a dicembre, la seconda rata dell’IMU sulla prima casa, e addirittura la prima rata sospesa in giugno. Cosa c’entra allora la stabilità? Non si tratta forse di incapacità a far quadrare i conti? Se fosse davvero così, non si capisce perché far saltare il governo con la mossa inaspettata del Cavaliere, sia un tradimento a danno degli Italiani, che se potessero scegliere, si farebbero governare anche da Belzebu’ pur di sapersi in buone mani. Il PD invece cosa fa? Grida e si strappa le vesti, quando un momento prima in alcune correnti non propriamente favorevoli al premier, ci si augurava che il governo avesse i giorni contati, e finge di preoccuparsi delle sorti dell’Italia, enfatizzando una coesione interna che ritrova solo in una occasione, se deve combattere contro il nemico di sempre. Poi, superata la tempesta, le correnti si allontanano e si rimettono in movimento, le une contro le altre, un po’ allo scoperto, un po’ sotto traccia; organizzano incontri, congressi flop, confronti, durante i quali parlano e parlano, costruiscono teoremi e programmi, senza mai proporre soluzioni serie e credibili ai problemi reali del paese, sempre gli stessi da secoli. Il PD è’ un partito buono a nulla, con un premier buono a nulla che tira a campare mentre dichiara di volere il contrario. E intanto aspetta. La sua è una tecnica che viene da lontano, collaudata con successo da un suo collega di partito passato a miglior vita, il quale riuscì a durare ben 40 anni senza fare praticamente nulla. Il suo motto era: meno fai, più duri, così non scontenti nessuno. Letta sta facendo lo stesso, con il supporto del suo partito, del capo dello Stato, dei “gerarchi” tecnocrati europei ed ora anche degli States. Pare che anche Obama lo apprezzi. Per forza, hanno qualcosa in comune: entrambi sono esperti nell’arte del temporeggiare e nel preferire ai fatti le parole. Forse è anche per questo che il presidente americano ha preso il Nobel per la pace.

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