Accanto alle fragilità per ritessere relazioni. Incontro sulle politiche sociali

«Leggere questo dossier non è facile. Scotta. Non elenca solo statistiche e numeri. Parla di storie, di volti, di povertà, di solitudine, di sofferenza. Racconta anche la nostra storia, anzi ne siamo i protagonisti. Anche se in doppio ruolo. Qualche volta siamo le cause di lacrime di volti che gridano la loro sofferenza. Altre volte la nostra indifferenza lascia dietro di sé volti delusi e segnati dalla solitudine. Altre ancora è il nostro sorriso e il nostro calore a ridare speranza e forza a chi è solo lungo la strada»: così Mons. Montenegro apre il “secondo dossier sulle povertà rilevate dai Centri di ascolto delle Caritas di Sicilia”, curato dal Centro regionale per la Carità e pubblicato in questi giorni a nome della Conferenza episcopale siciliana dalla casa editrice del Gruppo Abele, con il titolo: “Accanto alle fragilità per ritessere relazioni”. Il volume presenta, dopo un’analisi del modo di lavorare nella Caritas (primo capitolo), la lettura dei dati dei Centri di ascolto (secondo capitolo) raccolti attraverso il cosiddetto “Progetto rete”, che ha visto impegnate 12 delle 18 Caritas diocesane (per il primo dossier erano state 10). Il ricco materiale statistico, articolato su varie voci (situazione familiare e sociale, istruzione, immigrazione, ecc.) e quindi analizzato anche diocesi per diocesi, proviene dall’ascolto di oltre 2.500 persone nei vari Centri di ascolto. I dati poi sono stati rielaborati in un significativo cammino di confronto e formazione. La lettura si arricchisce inoltre di contributi scientifici, soprattutto in riferimento al tema della famiglia e delle sue trasformazioni (terzo capitolo) e delle risposte istituzionali (quarto capitolo). Non si tratta solo di studio. Il direttore della Caritas Italiana, Mons. Nozza, nella presentazione ricorda come «ascoltare le persone in difficoltà, osservare la realtà nel suo complesso e discernere ciò che è necessario fare investe la responsabilità di tutta la comunità ecclesiale e la sollecita ad un coinvolgimento puntuale e costante verso le situazioni di povertà vicine e lontane, sia in termini di attenzione personale, ma anche di sensibilizzazione e animazione verso la realtà sociale». A ciò va aggiunto che, nel cammino di confronto e di formazione regionale, quest’anno si è anche realizzata una significativa “scrittura comunitaria” della riflessione pastorale ospitata nel quinto capitolo. Che così viene presentata dal direttore del Centro regionale per la Carità, don Nino Caminiti: «la realtà ascoltata impegna ad una carità che sia anima e completamento della giustizia, ma anche esige una precisa figura di Chiesa, una Chiesa che sia anzitutto madre. Si tratta di istanze che ci collocano sulla linea del Convegno di Palermo, che invitava al discernimento, e del Convegno di Verona, che ci chiede di lasciarci ancora una volta dare appuntamento dal Risorto nella “Galilea delle genti” e qui offrire a tutti il racconto della nostra testimonianza, in cui trova attenzione privilegiata la fragilità come luogo di una speranza che prende carne nella storia». Chiude il volume un elenco dei servizi collegati alle Caritas diocesane della Sicilia e, sul retrocopertina, un auspicio: «L’augurio è che valga anche per noi quanto l’ex presidente della Repubblica Einaudi scriveva a don Milani: “Solo chi conosce uomini e donne, ne sa la vita e i veri problemi, sa interrogare e vedere». Accanto alle fragilità, per ritessere relazioni… in questo territorio 1. In questo territorio: tra vecchi e nuovi latifondi, antichi e nuovi cammini di libertà – Se si vogliono affrontare veramente i problemi dei poveri, non basta l’assistenza, non bastano i singoli interventi, occorre un ‘tessuto inclusivo’: questo è uno dei messaggi centrali del “Dossier sulle povertà”, pubblicato dalle Caritas di Sicilia a nome della Conferenza episcopale siciliana. Quanto ai ‘tessuti inclusivi’ la Sicilia presenta caratteristiche molto varie. Riguardo al nostro territorio, ci aprì gli occhi qualche anno fa un’indagine dell’Ignatianum di Messina che ci ricordò come, a renderlo diverso, è stato lo spezzettamento del latifondo: esso ha permesso dignità e libertà, non essendo costretti i piccoli proprietari ad asservirsi a grandi potentati. Da questo senso di dignità – unito ad una religiosità popolare ricca di sapienza – sono scaturiti valori e stili di sobrietà e di solidarietà, che rendono questo territorio ancora vivibile ed attento ai più deboli attraverso forme spontanee (come la visita e il vicinato) ed esperienze innovative di servizio. – Questa vivibilità e quest’attenzione tuttavia oggi risultano a rischio poiché, sulle grandi tradizioni e su quanto storicamente si è costruito di positivo, sempre più prevalgono superficiali omologazioni ad uno sviluppo inteso solo come crescita economica (per di più immediata, priva di vera progettualità), come spettacolarizzazione continua della vita, come strumentale abbinamento con la solidarietà. Fino ad arrivare ad usare la sofferenza, (oltre che il bisogno di lavoro di molti!) per propri interessi: ne abbiamo denunciato la gravità soprattutto in tempi elettorali, comprendendo in qualche modo chi soffre ma non chi usa la sofferenza. Soprattutto siamo a rischio per i nuovi “latifondi”, costituititi da poteri economici forti che intaccano sia un tessuto sociale ancora in parte sano sia la stessa democrazia, se quanti non hanno lavoro o hanno lavori precari sono “costretti a restare a vita ‘debitori’ di quanto viene concesso come un favore e non come un diritto” – come ha denunciato il Vescovo Mons. Malandrino durante la Visita pastorale. – Da qui il continuo appello della Caritas ad una solidarietà che sempre si coniughi con la ricerca della giustizia e con l’impegno educativo. Che come Chiesa, vogliamo condividere con i genitori, gli educatori e tutti coloro, che pure a volte stanchi di lottare, avvertono come comunque sia necessario – per la propria dignità – trovare vie di riscatto e di felicità vera e comunitaria (sono tante le persone che incontriamo ed ascoltiamo che ci chiedono di farci voce di questo desiderio). Solo se la città sarà attenta alla crescita di tutti i suoi figli, aiutandoli ad essere uomini capaci di camminare “a testa alta” ed insieme, la solidarietà non sarà episodica, superficiale, strumentale, ma diventerà l’anima di un’autentica e duratura bellezza: quella delle relazioni e di una cittadinanza vera, ‘attiva’ e solidale. 2. Come cristiani, chiamati ad accompagnare la vita con misericordia e coraggio – Così condividiamo con tutti la ricerca della giustizia e della pace: cercando di aprire gli occhi, cercando di ravvivare tensioni educative e civili. Partendo da luoghi concreti come questa Casa don Puglisi che ci ospita e da strumenti come i Centri di ascolto e gli Osservatori delle povertà, utili per leggere la realtà e provocare comuni risposte. Ma la Caritas è anzitutto organismo ufficiale della Chiesa. E quindi ci accompagna sempre una domanda: quale volontà di Dio si scorge nella storia concreta che viviamo? Da qui nel dossier il capitolo della riflessione pastorale, in cui emergono due tratti del nostro essere comunità di Cristo in mezzo agli uomini, tratti che discendono dal Vangelo: la cordialità, l’affabilità, la misericordia; il coraggio, la profezia. – Anzitutto l’affabilità: che fa emergere la maternità della Chiesa, continuamente richiamata nei contributi per la riflessione pastorale del dossier. Come ha ricordato il vescovo presidente della Caritas Mons. Montenegro al Convegno regionale Caritas, ospitato lo scorso febbraio dalla nostra diocesi, «la Chiesa offre all’uomo e a chi sta male non il Dio giudice o tra le nuvole, ma il Dio liberatore, che cammina insieme all’uomo». Citando quindi don Tonino Bello ha precisato: «Una Chiesa povera, semplice, mite. Che sperimenta il travaglio umanissimo della perplessità. Che condivide con i comuni mortali la più lancinante delle loro sofferenze: quella della insicurezza. Una Chiesa sicura solo del suo Signore, e, per il resto, debole. Ma non per tattica, bensì per programma, per scelta, per vocazione. Non una Chiesa arrogante, che ricompatta la gente, che vuole rivincite, che attende il turno per le sue rivalse temporali [… Ma una Chiesa] che lava i piedi al mondo senza chiedergli nulla in contraccambio, neppure il prezzo di credere in Dio, o il pedaggio di andare a messa la domenica, o la quota, da pagare senza sconti e senza rateazioni, di una vita morale meno indegna e più in linea con il Vangelo». – Quindi, una Chiesa che, di fronte alle ingiustizie e prepotenze, ha il coraggio di «gridare – è detto nel dossier – ai palazzi del potere che così non va!». Quando non è così, quando la Chiesa è intesa (o si lascia intendere diversamente) e quando la fede è usata per propri interessi, per propaganda, ci sono una deformazione e un tradimento gravi del messaggio evangelico. Da qui una duplice insistenza della Caritas: ad un annuncio/esperienza integrale di vita cristiana (soprattutto in termini educativi) e a seri cammini penitenziali. Con tentativi concreti. Sul primo versante vanno ricordati gli incontri con la realtà di servizio da parte di gruppi di catechesi e scuole. Sul secondo versante vi sono sollecitazioni offerte alla comunità ecclesiale (e non solo) sulle grandi questioni del vivere insieme: qualche giorno fa il convegno su “turismo e sviluppo in Sicilia” (a quanto ci risulta l’unico tentativo finora di un confronto attorno a interrogativi ed orizzonti di lunga durata); dopo Pasqua il quinto convegno sui bambini come cifra attorno a cui costruire una città giusta e accogliente. C’è poi un forte sostegno della diocesi, attraverso la Scuola di formazione all’impegno socio-politico (a cui ci uniamo), a tante lotte: penso agli allevatori, ai lavoratori precari, alle commesse che hanno posto il problema del lavoro festivo, ai giovani in cerca di lavoro e di senso. 3. Il grande patrimonio di servizio gratuito e libero ‘cuore’ del Piano socio-sanitario di zona – Da questa solidarietà ecclesiale con la vita di tutti, e dei poveri in particolare, deriva anche un messaggio alla politica, che oggi sempre più si va riscoprendo come legami che rinascono dal basso (come si sottolinea anche nel dossier). La politica come legami inclusivi e come cittadinanza attiva, peraltro, in questo territorio ha una storia esemplare, non solo nel passato remoto, ma anche e soprattutto nel passato prossimo e nel presente. Ad iniziare dal “Patto per la città” del 2000 e dalla Carta dei servizi, che in questi giorni le associazioni di volontariato ‘storiche’ della città hanno chiesto di riprendere e di aggiornare (operazioni diverse appaiono fittizie e strumentali, non fosse altro per la frettolosità che si intravede). Peraltro il Patto e la Carta dei servizi di Modica sono stati studiati anche a livello nazionale per la loro esemplarità: vi è, infatti, indicata una rete progettuale di servizi (che, nel tempo, purtroppo sta ritornando ad essere “smagliata” per crescente deficit progettuale) e vi è iscritta la soggettività civile del volontariato. – Si tratta, si diceva, di quella preziosa presenza nel nostro territorio di un volontariato autentico (veramente radicato nella vita della città e non fittiziamente creato per altri scopi). Esso non si è limitato all’assistenza, ma ha sviluppato la cultura dei diritti e si è sentito rispettato ogni qualvolta non ha dovuto fare opera di supplenza. Questo vuol dire: servizi funzionanti, politica sociale trasversale e convinta, intelligente, libera da qualsiasi condizionamento, come quello gravissimo del clientelismo (per i cristiani peccato grave). – Quanto è maturato in queste esperienze di volontariato e nel cammino della Chiesa locale con l’animazione dalla Caritas è poi passato nel Piano socio-sanitario di zona. Che è stato scritto veramente dal basso, grazie al citato patrimonio di un volontariato libero e veramente radicato nel territorio. E, al Piano di zona, la Caritas come organismo ufficiale della Chiesa (per questo presieduto dal Vescovo) ha dato un apporto determinante, fermo e costruttivo, teso al tempo stesso a garantire che non prevalessero vischiosità clientelari o piccoli interessi e a far emergere il meglio di questo territorio, anche in termini culturali e di ethos popolare (in un progetto si ricorda la “buona indole della nostra gente”). Per i bambini si è chiesta attenzione alla famiglia, concretizzatosi nell’educativa domiciliare, e di riprendere la bella consuetudine di regalare un libro di fiabe e di dare benvenuto al nuovo cittadino, facendosi fin dall’inizio carico dei suoi bisogni (iniziativa già sperimentata con successo al tempo del Patto sociale). Riguardo alle diverse abilità, si sono sottolineate le attenzioni al lavoro e al carico enorme delle famiglie (c’è un “dopo di noi” drammatico per i genitori di figli disabili). Quindi ci sono idee complessive come l’ “adozione sociale” (cioè l’accompagnamento progettuale delle situazioni difficili), il “tessuto inclusivo” (tramite laboratori teatrali, collegati con parrocchie e scuole, intesi come esperienza di qualità capaci per questo di far crescere e di generare senso civico nei giovani, includendo anche i più deboli), il “tavolo della pace” (attraverso il “festival dei bambini”, già realizzato, e attività educative per i giovani sulla multietnicità, iniziate da poco con riscontri molto positivi). Si tratta di un grande patrimonio di bene e di giustizia, di dignità e di gioia vera, che va intestato a chi opera silenziosamente, ma anche con cuore ed intelligenza. Si tratta di un patrimonio che non sopporta usi e abusi, soprattutto da parte di quanti dovrebbero sempre ricordare il monito di Santa Caterina: la città, ai governanti, è “prestata” perché la servano, non perché se ne approprino. Si tratta di un patrimonio che deve diventare la base su cui ripensare il nostro vivere insieme, se si vuole essere all’altezza del passato e del futuro più vero di Modica. Cogliendo un preciso “segno dei tempi”: ancora è possibile in questo territorio pensare ad una città giusta e accogliente; ancora è possibile stare accanto con quella passione e gratuità che sole possono generare ‘tessuto inclusivo’. Occorre essere molto decisi, lucidi, liberi, gratuiti! Questo peraltro è il senso della Pasqua: l’esodo dalla terra della schiavitù alla terra della libertà e della convivialità attraverso salti di qualità complessivi, esodo pasquale della nostra terra che (alla fine del dossier) viene richiamata con la parole di don Tonino Bello, profeta dei nostri giorni a noi molto caro (e che a maggio sarà ricordato al S. Cuore di Modica dal presidente di Libera Intenational).

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