CROLLO DEL PLAFOND DEL TEATRO GARIBALDI DI MODICA. CONDANNATI I SEI IMPUTATI

Si chiude con la condanna di tutti gli imputati il processo davanti al giudice unico del Tribunale di Modica, Giovanna Scibilia, per il crollo del plafond centrale del Teatro Garibaldi, avvenuto il 12 maggio del 2001. Il magistrato ha inflitto otto mesi di reclusione ciascuno, pena sospesa, ai sei imputati a conclusione del procedimento celebrato ieri pomeriggio. Si tratta del direttore dei lavori, l’ingegnere Giorgio Sarta, difeso dall’avvocato Carmelo Scarso, dei progettisti, degli architetti Giorgio Rizza e Vincenzo Rizza, difesi dagli avvocati Mario Caruso e Giuseppe Nigro. I tre, secondo l’accusa, non si sarebbero attenuti alle disposizioni della Sovrintendenza ai Beni Culturali per la redazione dei progetti ed il controllo delle opere eseguite nella struttura di Corso Umberto. Gli altri imputati erano Giovanni Agosta, difeso dall’avvocato Pino Pitrolo, titolare dell’impresa che eseguì i lavori di ristrutturazione; Giorgio Modica, difeso dall’avvocato Salvo Maltese, colui che installò le cornici di legno nel plafond. L’accusa, ha sostenuto, ad esempio, che quest’ultimo imprenditore nel corso delle opere di ancoraggio dei fasci di chiodi al soffitto, con negligenza, avrebbe provocato forti vibrazioni non compatibili con il manufatto. L’impresa Agosta avrebbe eseguito le opere con modalità e materiali difformi da quelli suggeriti dalla Sovrintendenza. L’ultimo indagato era l’ex dirigente dell’Ufficio Tecnico Comunale, Giuseppe Garaffa, patrocinato dall’avvocato Fabio Borrometi, che avrebbe attestato che i lavori furono eseguiti ad opera d’arte. La causa principale, insieme con alcune concause, secondo quanto aveva sottolineato Chiarina Corallo, funzionario della Protezione Civile di Ragusa, sarebbe stata l’assenza di una buona ventilazione del sottotetto e questo avrebbe determinato un ristagno dell’umidità. Un altro elemento determinante, secondo il perito, è stato il Tondo donato dal maestro Piero Guccione perché era stato applicato all’intonaco del controsoffitto. Nel corso dei lavori non si sarebbe tenuto conto dell’incompatibilità tra legno ed intonaco che, insieme “non si sposano”. Si dovevano utilizzare canne e gesso come si fa in tutto il mondo. Il controsoffitto, poi, è stato completato con le verghe dei vari listelli che erano allineate tra loro e così si è creata una linea di discontinuità. Tuttavia il controsoffitto ha resistito 6 anni. Tra le concause, i chiodi impiegati che avrebbero influito a creare il distacco tra le verghe e l’intonaco. Il perito nominato all’epoca dal Procuratore della Repubblica, Domenico Platania, l’ingegnere Fabio Consoli di Catania, aveva attribuito il crollo all’eccessivo impiego di gesso, alle vibrazioni determinate dall’inchiodamento, alla cattiva realizzazione dell’intelaiatura lignea eseguita con tasselli anziché con canne e all’eccessivo appesantimento dell’intonaco. Non ultima, appunto, la mancata installazione di climatizzatori. Di uguale entità le richieste del pubblico ministero, Maria Mocciaro.

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