La città d’inverno Rassegna cinematografica 06 – 07 recensione de “Il segreto di Esma” di Jasmila Zbanic

Per alcuni popoli la guerra può davvero essere "infinita", può lasciare tracce incancellabili, divenendo il motore dei tanti riflessi della coscienza collettiva e di quella privata. Chi ha dimenticato il dolore di Sarajevo, la tragedia della guerra etnica che, nei primi anni Novanta del secolo scorso, squassò letteralmente il cuore dell’Europa? La città assediata e devastata fin nelle sua fondamenta, i suoi abitanti divenuti prede dei cecchini, le bombe nei cimiteri e nei mercati: la televisione ci ha mostrato i documenti di quell’orrore, e il cinema, attraverso le sue metafore, continua ad evocare la conseguenza di quelle ferite difficilmente rimarginabili. Ambientato in un quartiere di Sarajevo, Grbavica, che è anche il titolo originale del film, giunge fino a noi (grazie anche alla promozione di Amnesty International) Il segreto di Esma di Jasmila Zbanic, pellicola assai intensa ed ispirata che ha ben meritato l’Orso d’Oro all’ultimo festival di Berlino e gli svariati premi destinati ad opere dal timbro umanitario, tra i quali quello della Giuria Ecumenica. Il film riesce a conquistare con la sua sincerità, nonostante l’abitudine consumata appresso alle magnifiche narrazioni cinematografiche delle guerre civili, più o meno grandi, capaci di mutare le geografie interiori dei popoli che ne rimangono vittime: sentimenti, pulsioni, ideologie trasfigurate e condotte sull’orlo dell’abisso attraverso lo sguardo obliquo di autori come Ken Loach o Mike Leigh. Sullo stesso sfondo non possiamo non citare il magnifico, recente La vita segreta delle parole di Isabel Coixet, dove l’infermiera interpretata da Sarah Polley elabora fino allo strazio la memoria di traumi subiti durante la guerra dei Balcani. La sua è la stessa qualità di sguardo che ritroviamo in Esma, protagonista di questo film, una donna segnata dalla bestiale violenza di uno stupro subito dai soldati serbi in uno dei tanti campi di profughi eretti nel corso del conflitto. Ad interpretare Esma è Mirjana Karanovic (memorabile volto di Emir Kusturica, ammirata in Underground e in La vita è un miracolo), attrice capace di rappresentare un dolore privato come segno del dolore comune. E all’inizio de Il segreto di Esma vediamo, appunto, un gruppo di donne intente a pregare in un centro di assistenza dedicato alle vittime degli stupri etnici (le statistiche ci dicono che sono state ventimila a subire quest’onta crudele). Tra loro, preda di un’ossessione che la costringe a rimanere prigioniera della dimensione dei suoi giorni terribili, c’è la madre di Pelda. Quest’ultimo vivrà poi con Esma un amore fatto di tenerezze mancate. L’estenuante ricerca di solidarietà e di legami forti che sopravvivono agli infiniti traumi di coscienze ed affetti devastati, la guerra delle anime come riflesso dei cataclismi della Storia: una madre e una figlia pronte a ritrovarsi, nel caos del degrado urbano postbellico, nel vortice del ricordo di una lacerazione fisica capace d’inquinare il sangue e lo stesso miracolo della maternità. Sara (Luna Mijovic) è la figlia di Esma, una ragazza ribelle ansiosa di conoscere l’identità del padre, convinta che sia uno dei tanti martiri della guerra. Con un certificato che attesti l’eroismo del genitore, la ragazza vorrebbe partecipare ad una gita scolastica. Ed Esma sarà costretta a lavorare in un locale notturno per comprare il prezioso documento. A Sara tocca pure confrontarsi con Samir (Kenan Catic), un coetaneo col quale trascorre le sue giornate, segnato anche lui dal ricordo del padre caduto in uno dei tanti fronti del conflitto. In questo doloroso gioco di trasfigurazioni, la ragazza, tentando di sciogliere il segreto della madre, arriverà ad impugnare una pistola, come gesto disperato di affermazione della perduta identità familiare. E tra le macerie di un palazzo in rovina proverà pure l’amore con l’amico Samir. Con questo film asciutto e sorprendente, la Zbanic svela la propria sensibilità, lei che si è fatta le ossa come documentarista e prima come burattinaia e come clown. È un fare cinema, il suo, che sa dare consistenza alle ombre, che sa delineare il tragitto doloroso di esistenze allo sbando senza mostrare troppo, preferendo l’allusione alle sottolineature. Il film riesce a cogliere la straziante condizione degli invisibili, di coloro i quali sono costretti a vivere, giorno dopo giorno, l’impotenza derivata dalle ingiustizie della Storia, quando la Storia è invasa dalla barbarie dei suoi carnefici, destinati poi a finire nei tribunali che decretano le colpe dei tanti crimini contro l’umanità. Da film come questi apprendiamo che la ricerca della speranza passa attraverso l’attenzione dei valori che si può dare anche ai piccoli gesti quotidiani. Così, con grande pudore e senza alcuna retorica, la Zbanic ci mostra la scena di un saluto decisivo: il saluto che segna il distacco tra Esma e la figlia, quando questa parte a bordo di una corriera, mentre fanno da contrappunto le note nostalgiche, e nel contempo concrete, di Sarajevo, amore mio, a suggerire il tono di questa ballata dedicata ad una città che vuole ritrovare il proprio nome.

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